“Centro” per migranti di Gjader, 9,30 del mattino. Una rappresentanza di parlamentari e di membri di associazioni italiani entrano all’interno del sito: “In che posto ci hanno messo? Perché siamo in carcere? Perché siamo stati sottoposti a quell’udienza in videoconferenza? Non abbiamo commesso reati, fate qualcosa per noi, vi prego”. La reazione del primo gruppo di egiziani e bengalesi, antesignani del cosiddetto modello Meloni sull’immigrazione, è mista tra stupore e spavento. Nelle ultime 48 ore – e solo una volta arrivati a Shengjin – sono stati avvisati che la loro destinazione era stata l’Albania e non l’Italia e questo ha provocato in loro una sorta di choc, come ilfattoquotidiano.it ha già raccontato ieri.
Ora lo choc si sta trasformando in qualcosa di diverso. A peggiorare la situazione le risposte che hanno dovuto dare ai giudici di Roma sulla convalida del provvedimento di trattenimento. Non sanno e non immaginano che l’Italia, da loro ringraziata per avergli salvato la vita, sta facendo di tutto per trattenerli all’interno del Cpr albanese con l’obiettivo a breve di poterli rimpatriare, di espellerli insomma, senza possibilità di richiedere asilo. Non si era mai visto un percorso della Commissione così rapido (tra l’altro con esito negativo), meno di 48 ore quando di norma di giorni ne servono quasi trenta per dichiararli “asilanti” o meno.
Riccardo Magi, segretario di +Europa, ieri aveva detto “l’accordo Roma-Tirana è un esperimento, ma gli esperimenti non si possono fare sulla pelle delle persone”. I richiedenti asilo pensavano che l’estenuante attesa all’hotspot di mercoledì e le pratiche svolte ieri a Gjader potessero bastare. Difficile per loro comprendere cosa gli sta succedendo, tra l’essere costretti a stare dentro un campo di detenzione trasformato in un grande cantiere, coi lavori a metà, e rispondere a delle domande tradotte dai mediatori culturali; perché nessuno di loro, ovviamente, parla inglese e tanto meno italiano: “I mediatori che li hanno aiutati nelle traduzioni e in tutto il resto fanno parte dello staff di Medihospes” spiegano ai cronisti Rachele Scarpa (Pd), Francesca Ghirra (Verdi-Sinistra) e Maso Notarianni dell’Arci appena usciti dal sito di Gjader. Medihospes è la cooperativa sociale che si è aggiudicata il bando da 133 milioni di euro per la gestione delle strutture di Gjader e Shengjin. Gli operatori della coop ieri sostenevano – a dispetto di ciò che raccontavano i parlamentari di centrosinistra – che i 12 migranti reclusi fossero tranquilli e passassero il tempo a bere caffè e fumare sigarette.
Il loro futuro, ma questo loro non lo sanno e faranno fatica a capirlo, è nelle mani dei giudici e della volontà dello Stato italiano di sfidare leggi e regolamenti: “Quando ci hanno visto stamattina – spiegano Scarpa, Ghirra e Notarianni – ci sono corsi incontro. A differenza di ieri, quando abbiamo avuto la possibilità di incontrarne solo un terzo, stavolta c’erano tutti e possiamo assicurare che non stanno bene, sotto il profilo morale certo, ma anche fisico. La sofferenza a causa della pressione psicologica si fa sentire”. Rachele Scarpa, in particolare, era entrata ieri ed è entrata oggi a Gjader: “L’egiziano che ieri non aveva smesso un attimo di piangere oggi era ulteriormente turbato – sottolinea -. È preoccupato, molto preoccupato per i figli, chiede in continuazione di poter parlare con loro e con il resto della famiglia. Uno dei bengalesi l’ho visto davvero male, secondo me meritava di finire tra i vulnerabili assieme agli altri due mercoledì”.
Parlamentari ed esponente dell’Arci hanno raccontato anche della situazione dei lavori all’interno del sito: “I locali dove vivono le 12 persone sono attiguo al cantiere – aggiungono Scarpa, Ghirra e Notarianni -, ci sono lavori dappertutto e la struttura è assolutamente precaria. Stanno andando veloci per terminare l’opera, ma di questo passo ci chiediamo se con questi numeri tutto ciò serva davvero”. Stando a quanto siamo stati in grado di ricostruire, la prigione di Gjader è operativo per non più del 50%. Attualmente la sezione ‘Trattenimento/accoglienza’ prevede 410 posti a fronte di 880, il Cpr vero e proprio (che si trova all’interno) 24 su 48 e il carcere 10 posti sui 20 da piano. “È un orrore, altro che modello da esportare – insiste Ghirra – Il centro è in realtà un cantiere, aperto in fretta e furia per la propaganda di Giorgia Meloni: neanche il 50 per cento dei lavori è finito, c’è un via vai di mezzi e betoniere, il terreno è di tipo friabile, per cui sono stati fatti lavori di consolidamento, l’infermeria non è pronta, se ci fosse una emergenza sanitaria il primo ospedale temo sia a Tirana, ad oltre un’ora di viaggio. Se è un modello, è molto perverso, in senso letterale”.