Lavoro & Precari

Stellantis, la rabbia dei 20mila a Roma: “Il governo ci ha abbandonati. Parlano di Nazione? Siamo noi che ci alziamo alle 4. E loro si sono svegliati solo ora”

Da Roma

Tra le tute blu che passano più tempo a casa che in fabbrica, i confinati della crisi di Stellantis, c’è la rabbia di uno sciopero che parte da lontano. Sono arrivati tutti: gli operai delle carrozzerie di Mirafiori che hanno lavorato 9 giorni da agosto in poi; quelli rimasti di Melfi, in solidarietà almeno fino a giugno 2025; gli operai di Pomigliano d’Arco che sembravano indenni dalla riduzione dei volumi e invece da settembre hanno già dovuto subire 17 giorni di cassa integrazione; ci sono anche i pochi rimasti di Cassino, Termoli e Modena; i colleghi da Atessa, gli ultimi colpiti dalla crisi. Con loro ci sono decine di aziende dell’indotto del settore automotive, le più martoriate dalla crollo della produzione nel 2024: Magneti Marelli, Denso, Ma Group, Bosch e i lavoratori della Berco di Copparo e Castelfranco Veneto che giovedì si sono visti piombare addosso la richiesta di 550 licenziamenti.

Non succedeva dal 1994, in mezzo ci sono stati una separazione sindacale e una lenta discesa che ora diventa ripida. La paura dentro piazza Barberini – dove i 20mila lavoratori si ritrovano convocati da Fiom, Fim e Uilm – è che non sia finita. Vengono da oltre 7 milioni di ore di cassa integrazione in nove mesi per supplire alle appena 387.600 unità assemblate da gennaio, un crollo superiore al 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Numeri da far tremare i polsi che hanno svegliato anche la politica.

I leader dell’opposizione arrivano alla spicciolata: chi come Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli all’inizio del corteo, chi come Elly Schlein e Giuseppe Conte – la crisi dell’auto unisce quasi tutti, anche in una stretta mano – quando il serpentone ha già intasato via Sistina, superando Trinità dei Monti ed è arrivato in piazza del Popolo. Carlo Calenda, il primo a martellare negli ultimi mesi, appare, dichiara e scompare.

Tutti i lavoratori notano la stessa cosa: “Il governo dov’è? Parlano, non fanno nulla e non si vedono neanche qui”. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso prometteva un’intesa che non esiste e ora assicura che convocherà l’azienda, Matteo Salvini qualche giorno fa era pronto a far pagare caro il suo atteggiamento all’ad Carlos Tavares e Giorgia Meloni tace. “La Casa Bianca ha chiesto scritto una lettera a Stellantis per chiedere il rispetto delle impegni. La Casa Bianca, qui invece Palazzo Chigi resta in silenzio”, sottolinea il segretario generale della Fiom Michele De Palma.

È lei, insieme al ceo di Stellantis e a John Elkann, il più invocato dalla piazza. Gli operai di Pomigliano la vorrebbero su una Panda, il modello che ha sostenuto, almeno un po’, la produzione italiana in questi mesi: glielo urlano a gran voce, ma il percorso è così lontano dai “palazzi” che non sarà bastato il grido delle migliaia arrivati dalla Campania per recapitarlo a destinazione. “Dicono di essere un governo di nazionalisti, ma non sanno cos’è il bene della nazione. Siamo noi che ci alziamo alle 4 del mattino per 1.500 euro al mese, ma si sono svegliati solo ora. Mamma Fiat non c’è più da tempo”, sottolinea Sebastiano Cocco della Fim Termoli, lo stabilimento che dovrebbe ospitare una gigafactory che Stellantis, insieme a Mercedes e Total, per ora ha lasciato solo su carta.

Salgono lungo via Sistina, stretti stretti, guardano Roma da Trinità dei Monti e poi giù a piazza del Popolo dove Fiom, Fim e Uilm hanno portato alcuni modelli di auto storici di Fiat e Alfa Romeo, mentre oggi sono italiane per nome ma non per produzione. Colpa di Stellantis che ha portato la Topolino in Marocco, la 600 e l’Alfa Junior in Polonia, la Panda elettrica in Serbia e la Lancia Y in Spagna. Con loro se ne sono andate anche le produzioni della componentistica – fari, tergicristalli, sedili che pian piano seguono all’estero – e migliaia di posti di lavoro.

“Chiedo a Mattarella, custode della Repubblica fondata sul lavoro, di ascoltare il silenzio delle fabbriche chiuse e il rumore di questa piazza”, scandisce De Palma in un ultimo appello al presidente della Repubblica. Su Roma era previsto il diluvio, invece sul corteo è caduta giusto qualche goccia e alla fine è spuntato il sole in questa giornata di sciopero, lontana dagli impianti, quindi non così diversa da tante altre. La prossima volta sarà tra altri trent’anni? “Senza risposte, non ci fermeremo – giura il leader della Uilm Rocco Palombella – Sarà mobilitazione a oltranza”.