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Ti ricordi… Elmo Bovio, il primo bidone dell’Inter che soffriva il freddo: sparito dal campo, fu beccato ad abbracciare una stufa

Era caldo l’autunno del 1946 in Italia: a settembre addirittura si toccavano i 38 gradi e la cosa sarà piaciuta assai a Elmo Bovio. Il calcio ritorna dopo la guerra, le società si attrezzano per affrontare al meglio il campionato, anche guardando a campioni che arrivano dal Sudamerica. È il ’46, difficile capire chi, in un altro continente, fosse un campione o un brocco: si andava a fiducia, leggendo qualche giornale, provando a stimolare la fantasia dei tifosi. Sulla fiducia si imbarca su un piroscafo un quintetto sudamericano. Ci sono Cerioni, Pedemonti, Volpi, Zapirain e appunto Elmo Bovio.

Sono tutti diretti a Genova, per poi raggiungere Milano sponda nerazzurra: il presidente Carlo Masseroni aveva ottenuto la possibilità dalla federazione di ingaggiare almeno cinque oriundi. Vengono tutti e cinque dall’Uruguay: Cerioni, Volpi e Zapirain dal Nacional di Montevideo, Pedemonti dal Liverpool di Montevideo ed Elmo Bovio dal Penarol. Il piroscafo impiega settimane per arrivare a Genova, ad attendere i calciatori alla stazione ferroviaria di Milano c’è una folla in festa: i cinque sono (sarebbero) chiamati a risollevare le sorti di una Inter tutt’altro che brillante agli ordini di Carlo Carcano. Fino a quel momento i nerazzurri hanno rimediato solo due pareggi contro Fiorentina e Genoa, due sconfitte in casa contro Atalanta e Brescia. Il derby alla quinta, con i sudamericani già in campo seppur ancora frastornati, è un disastro: 3 a 1 per il Milan, col gol nerazzurro segnato appunto da Cerioni.

Il trend sembra cambiare: una doppietta di Cerioni consente di battere la Lazio, ma poi il grande Torino schianta i nerazzurri, 3 a 1, gol nerazzurro appunto, di Elmo Bovio. È ancora novembre, il clima è ancora mite o giù di lì, e Bovio viene visto ancora come una speranza: al Penarol, dove si era laureato campione d’Uruguay, lo raccontavano come una punta abile nel dribbling e nel colpo di testa, capace di segnare anche per il suo animo “catimbeiro”, furbo, opportunista. Ma Elmo dal pubblico nerazzurro, e da quello italiano in generale, si farà notare più per le scenette curiose che per i gol. Sposato con una brasiliana e amante di spiagge e climi caldi, inizia a risentire del freddo milanese già in autunno, quando le temperature cominciano a scendere: lui per ovviare inizia a portare un basco sulla testa. Caso vuole però che – proprio contro il Grande Torino – Elmo venga lanciato a rete praticamente da solo, ma che al momento di entrare nell’area di rigore perda il cappello, curandosi a quel punto non di segnare per poi recuperarlo, ma di fare il contrario, perdendo l’occasione di far gol e cogliendo quella di farsi insultare dal pubblico presente.

Era ormai chiaro a quel punto che l’unico dei sudamericani in grado di vestire degnamente la maglia nerazzurra fosse Bibiano Zapirain, con gli altri quattro ad inaugurare una schiera che di lì ai decenni successivi si sarebbe infoltita di molto: quella dei bidoni stranieri. Ma se Pedemonti, Cerioni e Volpi sbiadiranno in fretta, il ricordo di Bovio, o meglio, delle sue “prodezze”, resta quasi mitologico nell’iconografia calcistica. Se l’autunno del ’46 infatti fu godibile dal punto di vista climatico, l’inverno di quello stesso anno e dell’inizio del ’47 fu tra i più freddi che si ricordino, un dramma per Bovio, che si faceva notare per basco e cappello e anche perché ogni volta che passava dalle parti della panchina si fermava per fare qualche tiro di sigaretta: “Fumare mi riscalda i polmoni”, diceva.

Il culmine arriva in una trasferta in Emilia all’inizio del 1947: qualcuno colloca l’episodio a Modena, più verosimilmente è a Bologna, il 9 febbraio. C’è un freddo fortissimo, Bovio a un certo punto scompare dal campo: verrà trovato negli spogliatoi abbracciato a una stufa. L’episodio finisce addirittura nella “Settimana Incom”, cinegiornale italiano dell’epoca. Bovio, assieme a Cerioni e Volpi, non sopportando quel clima di scherno torna in Sudamerica, senza avvertire nessuno. L’Inter che sognava di primeggiare grazie ai gioielli stranieri deve invece chiamare il quarantenne Meazza per evitare una retrocessione clamorosa sul campo. Bovio è scomparso a 92 anni, dopo aver chiuso la carriera in Brasile.