Ha tentato un’ultima fuga verso nord. Non ce l’ha fatta. E’ fallito tra i detriti di un palazzo bombardato a Rafah l’ennesimo colpo di scena di Yahya Sinwar, leader di Hamas ucciso ieri dall’esercito di Tel Aviv. L’uomo che ha architettato gli attentati del 7 ottobre, ricostruisce un report delle Israel Defense Forces, stava cercando di lasciare il sud della Striscia di Gaza per raggiungere l’area umanitaria di Al Mawasi. Il raid di mercoledì pomeriggio non gliene ha dato il tempo.

Erano mesi che l’uomo più braccato dell’intero Medio Oriente provava a lasciarsi alle spalle la città martoriata del sud dell’enclave, ma l’accerchiamento del quartiere di Tel Sultan glielo aveva impedito, decimando uno dopo l’altro gli uomini che aveva attorno. Per stanarlo sono state necessarie decine di operazioni delle unità speciali impiegate nella zona – tra cui lo squadrone 113 della Israeli Air Force e l’unità operativa della Israel Security Authority -, tutte mirate a raccogliere informazione su di lui e sugli altri membri di alto rango di Hamas presenti nell’area. Eppure fino alla sua eliminazione, ieri, l’esercito ancora non conosceva la sua posizione.

La sua fuga era iniziata 376 giorni fa, il 7 ottobre 2023. Mentre le squadracce di Hamas varcavano il confine portando morte e terrore in Israele, Sinwar si era rintanato in un tunnel a Khan Yunis, città della Striscia centro-meridionale. La notte prima del massacro, l’allora capo dell’ala militare dell’organizzazione aveva portato un televisore e alcuni sacchi di cibo nelle gallerie con l’aiuto di alcuni famigliari, preparandosi a restarci a lungo.

A gennaio, quando la la 98esima brigata dell’Idf era entrata in quella galleria, lui era appena riuscito a fuggire. Con i tank israeliani che bombardavano la città lui e altri alti dirigenti tra cui Mohammed Deif avevano riparato a Rafah, nel sud. Non è ancora chiaro come fossero riusciti a trovare uno spiraglio tra le maglie della rete che l’Idf aveva stretto attorno alla città, ma da un’indagine interna è emerso che l’accerchiamento aveva lasciato diversi buchi nella tela che avrebbe dovuto catturarlo.

Alcune settimane più tardi, quando le forze speciali erano entrate a Rafah, Deif era riuscito a fuggire di nuovo verso nord ed era tornato a Khan Yunis (dove il 13 luglio è stato ucciso, anche se Hamas non ha mai confermato la sua morte), mentre Sinwar era rimasto bloccato a Rafah passando di rifugio in rifugio mentre intorno le unità speciali stringevano il cerchio intorno a lui. “Si stima che il 90% del tempo – si legge nel report -, Sinwar sia rimasto nascosto nei tunnel. Tornava in superficie solo quando era costretto a spostarsi da un nascondiglio all’altro”.

Fino a ieri. Il conto alla rovescia è iniziato quando durante l’identificazione di alcuni sospetti, la brigata Bilkah ha aperto il fuoco contro uno di loro colpendolo a una mano. Quel sospetto era Yahya Sinwar, che era fuggito ed era riuscito a rifugiarsi in un edificio poco lontano. Non sapendo che fosse lui, i soldati sono entrati nel palazzo e hanno trovato un’estesa macchia di sangue su una scala: era ancora fresco, il fuggiasco non poteva essere lontano. Sinwar era ferito e braccato, ma non si arrendeva ed riuscito a lanciare due granate contro i soldati. A quel punto i militari avevano lasciato la costruzione ed erano arrivati i carri armati a circondarla, mentre un drone vie entrava dalle finestre dei piani più alti Il resto è nelle immagini di queste ore: il terrorista, ormai sfinito, seduto senza una mano su una poltrona mentre guarda in faccia la morte e il drone cercando, in un ultimo disperato gesto di sfida, di colpirlo con un bastone raccolto tra i detriti. Poi la fine.

Le immagini del cadavere tra i detriti girate dal drone sono state inviate a Yaron Finkelman, comandante del Southern Command, che le ha mandate allo Shin Bet con la richiesta di capire se si trattasse proprio di Sinwar. L’Agenzia ha inviato sul posto squadre speciali per esaminare il corpo. “I militari gli hanno tagliato un dito” per poterlo portare ai medici competenti e condurre l’esame del Dna, si legge nel referto autoptico. La primula nera del terrorismo palestinese era finito sotto la pioggia di fuoco scatenato da tank e mitragliatrici sul palazzo in cui si era nascosto. Ma a ucciderlo, recita l’autopsia, è stato “un colpo di pistola alla testa”. Era mercoledì pomeriggio, ma è stato trovato solo il mattino seguente “con addosso preziose informazioni che sono ora in fase di analisi”.

L’esercito – prosegue il rapporto – sa che Muhammad, fratello di Sinwar, ha guidato le Brigate al-Qassam, l’ala militare di Hamas, dopo l’uccisione di Deif. Nei lunghi periodi in cui Yahya era tagliato fuori da ogni contatto è stato il fratello a gestire l’organizzazione, quindi oggi Hamas ha ancora a disposizione dirigenti abili e attivi. “Dopo l’assassinio di Sinwar e Nasrallah (Hassan, leader della milizia libanese Hezbollah, ndr), siamo nella migliore posizione che abbiamo avuto finora in questa guerra – dicono fonti nell’Idf -. Le eliminazioni creano un’opportunità strategica che deve essere sfruttata”. Tradotto: la caccia all’uomo continua, il prossimo obiettivo è Muhammad Sinwar.

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