Dina Boluarte, la presidentessa peruviana arrivata al potere al posto di David Castillo e con una sorta di golpe istituzionale, secondo diversi sondaggi ha il sostegno del solo 8% della popolazione. Mediamente il 92% disapprova il suo governo, questo dato arriva al 94% nella parte meridionale del Paese. La presidentessa non ha mai goduto di alta considerazione, tanto che all’inizio del suo mandato aveva un indice di gradimento del 16%, salito ai suoi massimi nel marzo 2023, con il 19%, secondo i sondaggi passati di Datum International. In questo contesto si moltiplicano scioperi e manifestazioni che chiedono le sue dimissioni. E se la scorsa settimana è stato il settore dei trasporti a mobilitarsi, in queste ore sono le scuole a scendere in piazza, dato che il 15 ottobre il Sindicato Unitario de Trabajadores en la Educación del Perú (Sutep) ha indetto una mobilitazione a tempo indefinito.

Tra i motivi delle proteste c’è la grave situazione economica del Paese. Secondo i dati ufficiali dell’Istituto Nazionale di Statistica e Informatica (INEI), il tasso di povertà in Perù si aggira intorno al 28%, ma le stime aggiornate della Banca Mondiale dicono che ha già raggiunto il 32,2% e la soglia di vulnerabilità supera il 39% della popolazione. Non c’è settore che non considera insoddisfacenti le politiche sociali del governo. Ma invece che ascoltare la popolazione, da quando è entrata in carica Boluarte ha usato il pugno duro e la repressione come arma per sedare il malcontento.

La presidentessa è nata nel 1962 e dopo la caduta di David Castillo, di cui era vice-presidenta, invece che portare il Paese a nuove elezioni ha deciso contro il volere popolare di assumere la presidenza. È avvocata, laureata in Diritto Notarile e Registro presso l’Università San Martín de Porres, ha lavorato come funzionario presso il Registro Nazionale di Identificazione e Stato Civile (Reniec) dal 2007. È stata anche direttrice del welfare dell’Ordine degli avvocati di Lima. Nonostante sia così impopolare, sta cercando di stringere le maglie dei diritti a livello parlamentare. Solo qualche giorno fa ha presentato un progetto di legge per introdurre nel codice penale il reato di “terrorismo urbano”, con il quale si dispongono pene tra i 25 e 35 anni di carcere per chi “crea paura” tra la popolazione attraverso i reati di estorsione e omicidio su commissione. La misura viene vista come pericolosa, con il rischio che sia utilizzata per criminalizzare le mobilitazioni.

Ma non è l’unica proposta di Boluarte che vede il gran rifiuto popolare, deve anche aggiungersi la legge che trasferisce il potere di condurre indagini preliminari sui reati dalla procura alla polizia. “Il governo di Dina Boluarte non è interessato a difendere la legalità”, ha dichiarato la deputata Ruth Luque del Blocco Democratico Popolare. In puro stile autoritario, Dina Boluarte prova a criminalizzare la stampa, attribuendo agli organi di informazione le responsabilità per la sua bassa popolarità. La presidente ha infatti dichiarato: “Dobbiamo combattere contro un nuovo male, una nuova minaccia nel mondo. La guerra delle bugie, delle fake news, delle notizie false create a scopo di terrorismo d’immagine. Un vecchio metodo usato dai totalitarismi”.

Grande la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente a differenza di quanto diceva Mao Tse-tung e il clima in Perù è tutt’altro che sereno a quasi due anni dalle prossime elezioni previste per l’aprile 2026. Si moltiplicano le richieste di dimissioni della presidentessa e di elezioni anticipate, ma Boluarte non pare intenzionata a cedere, è così dal primo giorno. Tra il 2022 e il 2023, le molteplici proteste contro la sua investitura sono costaste oltre 50 morti e 716 feriti e proprio in quel periodo nacque l’hashtag #DinaAsasena.

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