Il decreto del governo interverrà sulla famosa lista dei Paesi sicuri, quella al centro del cortocircuito che ha bloccato i centri in Albania per decisione dei giudici di Roma e in applicazione della nota sentenza della Corte di Giustizia europea. La trovata del governo sta nel rendere primaria la norma che contiene l’indicazione dei Paesi d’origine designati come sicuri, e non più secondaria com’era invece il precedente decreto interministeriale. In applicazione della sentenza della Corte Ue, hanno spiegato il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e quello dell’Interno, Matteo Piantedosi, sono stati esclusi dalla nuova lista Camerun, Colombia e Nigeria, che nel precedente elenco presentavano esclusioni di aree di territorio considerate non sicure. Eccezioni non ammesse dal diritto europeo in base al quale, dice la sentenza Ue, un Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno. Basta, non c’è altro. Nulla che incida direttamente sulla titolarità dei giudici di esprimersi sul trattenimento, come pure era stato ipotizzato da più parti. E allora cosa cambia davvero? Se i 19 Paesi rimasti presentano ancora eccezioni, indifferentemente che si tratti di aree di territorio o di categorie di persone visto che parliamo della stessa norma, difficilmente l’esito potrà essere diverso da quello di venerdì scorso.

Il resto della conferenza è stata una sequela di congetture che sarebbe difficile ripercorrere per intero. A voler selezionare le più significative, però, non si può che partire da quelle del ministro Nordio, convinto che la sentenza Ue non sia stata letta a sufficienza né compresa fino in fondo. Secondo il ministro i giudici si sono limitati ad applicare il principio generale della designazione unitaria di Paese sicuro e non hanno “verificato in modo esaustivo e completo, ex nunc, le ragioni per cui quel singolo individuo non è sicuro nel suo Paese”. Che abbia ragione? A Gjader provenivano tutti da Egitto e Bangladesh, Paesi designati sicuri per i quali il governo aveva esplicitamente escluso categorie di persone che considera a rischio. Eccezioni che il diritto europeo non ammette escludendo di fatto tutti gli egiziani e bangladesi dall’esame accelerato della domanda d’asilo, più rapido e con minori tutele. E se la norma esclude tutti, la pretesa di Nordio di esaminare il caso singolo sembra alquanto bizzarra.

Quanto al giudice, la sentenza impone sì una verifica della situazione attuale del Paese d’origine e, d’ufficio, della legittimità della designazione di Paese come sicuro. Ma non certo per soddisfare le pretese di Nordio. La sentenza si riferisce all’articolo 46 della stessa direttiva sul diritto a un ricorso effettivo in caso di domanda respinta. Per garantirlo, scrivono i giudici, lo stesso articolo va interpretato nel senso che “gli Stati membri sono tenuti ad adeguare il loro diritto nazionale in modo da garantire che i ricorsi menzionati comprendano un esame da parte del giudice di tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentano di effettuare una valutazione aggiornata del caso di specie”. Una garanzia a tutela del richiedente che nel caso dei 12 di Gjader non avrebbe avuto alcun senso.

In virtù della stessa pretesa Nordio ha poi negato che la sentenza Ue possa vincolare il giudice “in via generale e astratta”. Una tesi altrettanto curiosa perché la Corte impone un’interpretazione “restrittiva” dell’articolo 37 della direttiva 32/2013, quello sulla designazione dei Paesi sicuri, che non prevede in alcun modo la possibilità di escludere aree o categorie di persone. E questo in ragione delle implicazioni sulle procedure d’asilo più restrittive che si possono applicare a chi proviene da Paese sicuro. Se il giudice prescindesse da questa indicazione, distinguendo ad esempio tra un egiziano e un altro ai fini della convalida, incorrerebbe nelle responsabilità previste dalla legge per i magistrati che disattendono le sentenze della Corte europea.

Difficile dunque immaginare come i giudici potranno evitare di applicare la sentenza Ue allo stesso modo. Perché la direttiva europea a cui si riferisce rimane sovraordinata, anche rispetto ad una norma primaria. In quanto tale, però, Nordio esclude che possa essere nuovamente disapplicata dai giudici. “Se non la condividono dovranno rivolgersi alla Corte Costituzionale“, ha detto. “Questo decreto imprimerà velocità alle procedure”, ha assicurato Piantedosi. Al contrario, un eventuale rinvio alla Consulta comporterebbe la sospensione del giudizio sulla convalida con conseguente liberazione del trattenuto perché la decisione dei giudici non avrebbe modo di intervenire entro le 48 ore previste. E in base al Protocollo con l’Albania i richiedenti andrebbero condotti in Italia come accaduto per i primi 12.

Al netto di cose già sentite, un’ultima cosa va evidenziata. Trattandosi di persone non identificate la cui nazionalità è soltanto presunta, secondo il trio governativo si rischia che siano gli stessi migranti a scegliersi la provenienza a seconda dei vantaggi che può comportare. E’ appena il caso di far notare che la nazionalità viene indicata allo sbarco dagli interpreti del Viminale che entrano in contatto coi migranti. E che sulla stessa nazionalità presunta si è basata la commissione d’asilo che a Gjader ha respinto tutte le domande dei 12 richiedenti per “manifesta infondatezza” motivata appunto dalla provenienza da Paese sicuro. Anche i rimpatri di egiziani e tunisini, in virtù di accordi semplificati coi rispettivi Paesi, vengono spesso portati a termine senza identificazione, sulla base della stessa nazionalità presunta. Una presunzione che evidentemente va bene per un diniego o un rimpatrio, ma guai se diventa il presupposto per la decisione di un giudice che scontenta il governo.

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