Il governo Meloni interviene per decreto con l’obiettivo di evitare l’applicazione della legge Ue sul trasferimento dei migranti nel cpr in Albania. L’escamotage, arrivato dopo tre giorni di altissima tensione tra l’esecutivo e i giudici, è stato annunciato in conferenza stampa dai ministri dell’Interno e della Giustizia. Con il nuovo provvedimento, approvato in fretta e furia lunedì 21 ottobre dal consiglio dei ministri, l’elenco dei Paesi sicuri scende a 19 (via Nigeria, Camerun e Colonmbia) e viene stabilito tramite una norma primaria: ovvero una regola che il giudice deve prendere in considerazione, senza far valere prima il diritto comunitario. Ovvero la sentenza Ue che, secondo il Guardasigilli Carlo Nordio, non sarebbe stata capita dai togati italiani: “Il nostro provvedimento nasce da una sentenza della Corte di giustizia europea molto complessa e articolata e anche scritta in francese, probabilmente non è stata ben compresa o ben letta” dai giudici. Parole che di sicuro non aiutano ad abbassare i toni, dopo un weekend di attacchi da parte dell’esecutivo nei confronti della magistratura. “Mi auguro”, ha aggiunto Nordio, “che non accada” il ripetersi di decisioni come quella del Tribunale di Roma, che nei giorni scorsi non ha convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del cpr in Albania.
Cosa c’è nel decreto – Con il nuovo decreto, la lista aggiornata dei Paesi sicuri stilata dal ministero degli Esteri avrebbe quindi il valore di una legge, ovvero di un obbligo a cui attenersi e che rafforzerebbe la posizione del governo anche in sede di ricorso. Non solo. La norma rispetterebbe stavolta sia il principio ‘oggettivo’, ovvero l’ambito delle eccezioni relative alle aree geografiche del singolo Stato, sia quello ‘soggettivo’, ovvero quello riferito a determinate categorie di singoli individui. È proprio quest’ultimo punto ad essere stato uno degli elementi determinanti nelle decisioni dei giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma, i quali la scorsa settimana hanno ritenuto di non convalidare il trattenimento dei dodici migranti nel Cpr in Albania. Facendo prevalere il pronunciamento della Corte di giustizia europea dello scorso 4 ottobre, i magistrati hanno sottolineato che secondo quest’ultima sentenza “la designazione di un Paese di origine come sicuro dipende (…) dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione (…), tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”. Confrontando questa sentenza della Corte europea al caso specifico dei migranti trattenuti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio in Albania, il giudice Luciana Sangiovanni, sostiene nella sua ordinanza (riferita a un cittadino egiziano) che “il Paese di origine del trattenuto, nelle conclusioni della scheda-Paese dell’istruttoria del ministero degli Esteri (…) è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione”. Ed è questo il motivo per cui, “in ragione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, il Paese di origine del trattenuto non può essere riconosciuto come Paese sicuro”.
Nordio rivendica: “Ora il giudice non potrà disapplicare la legge”. Piantedosi non risponde sui costi – Dall’elenco di 22 Paesi, aggiornato a maggio, vengono eliminati Nigeria, Camerun e Colombia. In attesa del vaglio del Quirinale sul provvedimento, nelle prossime settimane sarà messo alla prova dei fatti l’obiettivo dell’esecutivo. La cui strategia, ha chiarito Giorgia Meloni, resta “difendere i confini” e “ristabilire un principio fondamentale: in Italia si entra solo legalmente, seguendo le norme e le procedure previste”.
La puntualizzazione della premier arriva a commento di una operazione che in Calabria ha colpito un traffico di esseri umani. Altri ragionamenti erano attesi nella conferenza stampa sulla manovra, già programmata per il giorno in cui cadono i due anni dal giuramento del governo e annullata alla vigilia. Inevitabilmente nelle domande avrebbe fatto capolino il tema dell’acceso scontro fra governo e magistratura, infiammatosi negli ultimi giorni proprio in seguito alle decisioni del Tribunale di Roma che hanno di fatto svuotato il cpr appena aperto in Albania. “Magistrati politicizzati che vogliono fare opposizione”, è la linea della maggioranza.
La giornata fra Palazzo Chigi, Viminale e ministero della Giustizia si è snodata per definire nel massimo riserbo le norme del provvedimento (alla fine si è deciso di escludere quelle sui ricorsi), preannunciato venerdì scorso dalla premier: la “soluzione”, il termine usato, per evitare che verdetti come quelli del Tribunale di Roma “impediscano ogni politica migratoria di difesa dei confini”. Stando ai provvedimenti del Tribunale di Roma, “il meccanismo dei rimpatri semplicemente non esiste più e dovremmo rendere conto in sede europea del perché non tuteliamo i nostri confini”, osserva il sottosegretario Alfredo Mantovano. A differenza del solito, il Consiglio dei ministri non è stato preceduto dall’ordine del giorno né da un vero e proprio pre-Cdm. L’approvazione poi è stata piuttosto rapida. La lista dei Paesi sicuri “diventa norma primaria e consente ai giudici di avere un parametro rispetto ad un’ondivaga interpretazione“, sintetizza il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, certo che la nuova norma serva a “dirimere un’annosa questione: serve a cercare un’accelerazione della procedura, per fare in modo che il ricorso alla richiesta di protezione non sia per la gran parte strumentalizzato per eludere il sistema delle espulsioni”. A domanda poi de ilfattoquotidiano.it sui costi dei trasferimenti, non ha risposto direttamente. E anzi ha rilanciato: “Ha dei costi il sistema messo in piedi per portare i migranti in Albania, ma quanto ci costa distribuire i migranti tutti i giorni da Lampedusa a Pozzallo o Porto Empedocle? E quanto ci costa il sistema di accoglienza? Il Viminale spende ogni anno 1,7 miliardi di euro per dare assistenza a persone che per il 60-70% dei casi sono destinate a vedersi bocciata la domanda di asilo”. Intanto le operazioni di trasporto dei migranti in Albania procederanno.