C’era una base logistica a Crotone e una a Ventimiglia, da dove poi i migranti attraversavano il confine con la Francia. È quello che hanno scoperto gli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Crotone e dallo Scico, il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata, che stamattina hanno eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare in carcere. I provvedimenti sono stati emessi dal giudice per le indagini preliminari su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore Vincenzo Capomolla.

In manette nell’inchiesta Levante finiti soggetti che sono stati individuati nelle province di Bologna, Brescia, Crotone, Roma, Imperia, Milano e Vibo Valentia. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa nei confronti di nove iracheni, due pachistani (Muhammad Alamgir Irshad, Adeel Malik), un afgano e un cittadino del Bangladesh. L’inchiesta è partita da una denuncia presentata il 18 novembre 2021 da un interprete curdo iracheno che segnalava di avere ricevuto telefonate minatorie, in relazione alla sua attività lavorativa, nelle quali “gli veniva contestato – si legge nell’ordinanza – di avere fatto arrestare suoi connazionali impegnati nel traffico dei migranti”.

A fare quella telefonata sarebbe stato l’iracheno Tahsin che, sottoposto a intercettazione, “mostrava – secondo i magistrati – di essere un soggetto inserito nel traffico di migranti”. Da una telefonata registrata dalla guardia di finanza nel maggio 2022, infatti, è emerso che Tahshin era il vertice dell’organizzazione in Italia e che operava in questo settore da circa 20 anni riuscendo a guadagnare nel 2014 “ben 65mila euro”.

“Questo lavoro è pericoloso soltanto qua in Italia – sono le parole dell’indagato che in un’intercettazione spiega il sistema – Negli anni passati un amico mio che lavorava qua è stato arrestato e gli hanno dato 3 anni di carcere, senza guadagnare. Io sono scappato in Bulgaria. Questo lavoro è così, qua è pericoloso perciò io non faccio niente, ti scoprono e ti arrestano. Per questo lavoro è meglio la Francia, se vuoi andare in Francia fammelo sapere che ti mando da qualcuno perché io stavo là”. Al termine delle indagini, il sostituto procuratore della Dda Paolo Sirleo contesta agli arrestati il reato di associazione dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed al riciclaggio del denaro provento dell’attività illecita.

Si tratta di un’organizzazione criminale radicata in Turchia e Iraq, con diramazioni in Italia, Francia e Grecia, dedita alla gestione del trasporto via mare dei migranti irregolari provenienti, prevalentemente, dal Medio Oriente e da altri Paesi asiatici (Iraq, Iran, Kurdistan, Afghanistan, Pakistan, Siria, Libano) e tendenti ad arrivare sulle coste calabresi. In sostanza, l’organizzazione era articolata in cellule presenti in Italia e all’estero, i cui appartenenti, pur con compiti differenti, avevano l’obiettivo di far giungere i migranti in Italia, sfruttando la rotta marittima del Mediterraneo orientale e a farli espatriare verso la Francia e altri Stati del nord Europa.

L’inchiesta “Levante” ha ricostruito come gli arrestati si occupassero della gestione dei migranti, prevalentemente curdi, sbarcati in Calabria, nel Crotonese. Qui venivano intercettati dagli indagati che organizzavano i viaggi in autobus e in treno verso Milano e soprattutto verso Ventimiglia dove i curdi venivano affidati a dei passeur che erano a loro disposizione per fargli raggiungere la Francia.

Per alcuni era la destinazione finale mentre per altri un passaggio obbligato per poi andare in Inghilterra. Intercettati, i componenti dell’organizzazione chiamavano i migranti “piccioni” o “pecore”: “Dammi il numero del ragazzo dell’ufficio come si chiama? a Crotone, perché ci sono i ‘piccioni’ e dopo escono…”.

Grazie anche ad alcuni filmati e alle intercettazioni, il pm Sirleo e la Guardia di finanza sono riusciti a documentare non solo il percorso dei migranti ma anche come questi effettuassero il pagamento del viaggio attraverso il metodo hawala. Nell’inchiesta, infatti, è emerso che c’erano dei negozi dove i curdi dovevano recarsi per consegnare somme di denaro. Cifre che venivano annotate sia in Italia che nella contabilità parallela gestita dai complici degli iracheni arrestati. I viaggi costavano dai 10 ai 15mila euro.

Tashin e altri tre iracheni arrestati – si legge nell’ordinanza – “hanno mostrato piena autonomia operativa nella pianificazione dei viaggi, nell’intessere rapporti sia con i referenti esteri, che con i responsabili degli uffici Hawala e con i passeur che trasportavano i migranti oltre frontiera”. L’inchiesta ha dimostrato i contatti degli indagati con trafficanti di uomini che si trovano in Turchia ma tra le pieghe del fascicolo ci sono anche potenziali rapporti con soggetti legati al terrorismo che avrebbero potuto fornire documenti falsi a Tahsin.

Il promotore dell’associazione a delinquere, scrive il gip – “dialogando con un altro personaggio della organizzazione di stanza a Crotone, Hamid Hussein Hama disquisiva di un passaporto di cui quest’ultimo necessitava. Il Tahsin rappresentava di essere in grado di procurargli quanto richiesto, in quanto disponeva di moduli in bianco, provenienti dall’Iraq, che venivano utilizzati da organizzazioni terroristiche”. Il giudice per le indagini preliminari non ha dubbi sull’esistenza “di un vero e proprio gruppo organizzato a vocazione transnazionale, finalizzato al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al riciclaggio. Il gruppo, che si ramifica in più cellule operanti in Italia e all’estero, agisce secondo schemi collaudati”. Ogni membro dell’organizzazione ha “specifici compiti e ruoli” tanto che “gli indagati – si legge nell’ordinanza – hanno dimostrato di essere in grado di organizzare e gestire un numero indeterminato di sbarchi clandestini, divenendo una vera e propria rete di supporto a livello nazionale ed estero in ordine all’accoglienza dei migranti e al loro trasporto”.

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