Società

Discriminazione per un’ora di piscina riservata alle donne musulmane? Fatico a non ridere

Sto assistendo – con un misto di tristezza, sorpresa e divertimento – all’incredibile dibattito che si è sviluppato in Italia relativamente alla decisione del comune di Figline Valdarno di riservare la piscina comunale esclusivamente alle donne musulmane per un’ora alla settimana, in modo che possano partecipare ad un’attività organizzata dalla Uisp Firenze, che gestisce da un paio di anni la struttura comunale.

La quantità di castronerie che sono uscite dalla bocca di certi settori della società italiana è di primissimo livello: allarmi di sostituzione etnica, discriminazione, negazione dei diritti costituzionali per i cittadini italiani, solo per citarne alcuni.

Vivo in un paese, l’Australia, che seppur imperfetto è considerato da molti uno dei più riusciti esperimenti di ingegneria sociale multi-razziale e multi-culturale al mondo. Certamente le politiche migratorie adottate dal governo sono molto dure e, per molti versi, questionabili. Ma è indubbio che le persone immigrate che decidono di stabilirsi in Australia hanno accesso ad una quantità quasi infinita di servizi e strumenti che permettono loro di professare la propria fede religiosa e praticare i propri dettami culturali.

Non lontano da casa mia, a Melbourne, vi è uno stradone dove nel corso degli anni sono state costruite – letteralmente fianco a fianco – una moschea, un tempio buddista, uno Hindu e una chiesta ortodossa. Durante il weekend i fedeli si recano in queste strutture per pregare e socializzare; nessun abitante del quartiere si è mai lamentato di tale “invasione”, reclamando assurde forme di perdita di identità nazionale e sovranità. La convivenza è assolutamente pacifica e il comune approfitta di tale vicinanza per organizzare attività “inter-faith” per promuovere fratellanza, conoscenza e comprensione reciproca. Con eccellenti risultati.

Torno allo sport: qui a Melbourne esiste un’associazione non-profit chiamata Reclink che utilizza lo sport come strumento di coesione e integrazione sociale per categorie considerate “svantaggiate”. E’ un’organizzazione comunitaria che ha ottenuto grande successo nel paese e che vanta sportivi famosi tra i suoi ambasciatori. Ebbene: Reclink da qualche anno organizza una lega di basket solamente per donne musulmane. Ogni martedì sera in uno dei palazzetti dello sport (pubblico!) della città l’ingresso è consentito solo alle partecipanti a questa lega, che sono libere di togliersi il loro hijab e godersi un match di pallacanestro giocato con amiche e rappresentanti della loro stessa comunità: la lega ad oggi vanta circa 300 giocatrici.

Vi è stata alcuna protesta fuori dal palazzetto o sui giornali da parte di poveri cittadini australiani che si sono sentiti privati del loro diritto di andare a giocare a basket proprio il martedì sera, proprio in quel palazzetto? Zero. E sono certo che, se qualcuno avesse osato proferire parola contro tale iniziativa, sarebbe stato coperto di ridicolo dal resto della comunità.

Continuiamo a sottolineare come gli immigrati debbano fare uno sforzo per integrarsi nella nostra società e aderire ai nostri dettami culturali…se anche ciò avesse un senso, rimango convinto che lo stesso sforzo debba essere richiesto alle nostre società che accolgono gli immigrati. Dobbiamo essere abili ad adattare e modificare il nostro tessuto sociale alle istanze emergenti, per creare una vera società multi-culturale dove non esista una cultura “dominante”, ma un coacervo di culture che possano convivere in maniera non solo pacifica, ma anche costruttiva in modo da contaminarsi positivamente a vicenda.

Per questo, quando sento persone che si sentono discriminate perché non possono recarsi a una piscina comunale il martedì mattina dalle 8.30 alle 9.30, faccio veramente fatica a trattenere una risata. Piuttosto amara.