I lavoratori manifestavano e protestavano, il ministero organizzava (senza molta convinzione) tavoli di confronti e intanto l’azienda vendeva lo stabilimento. La vertenza Gkn si tinge di nuovi colori, stavolta quelli di una possibile speculazione e in ogni caso di un risibile rispetto degli organismi dei lavoratori. È lo stesso collettivo di fabbrica Gkn a rendere noto il fatto che lo stabilimento di Campi Bisenzio dove fino al 9 luglio 2021 erano in forza 430 operai e che rappresentava un fiore all’occhiello dell’indotto automotive non è più di proprietà della Qf attualmente in liquidazione e il cui azionista, Francesco Borgomeo, ha rivelato gli impianti dal fondo Melrose. Lo stabilimento è stato venduto il 12 marzo 2024 a due società dal profilo immobiliare, la Toscana Industry (Ti) e Società Immobiliare Toscana (Sit). Hanno lo stesso amministratore delegato, e controllano la stessa Qf/ex Gkn.
“Il 12 marzo salimmo sulla torre di illuminazione di Santa Maria Novella per protestare contro lo spostamento dell’ incontro presso il Mimit (Ministero del Made in Italy)” dicono oggi gli operai ricordando che quello spostamento appariva strano allora e “oggi appare ad orologeria“. La vendita è stata effettuata per 7 milioni di euro, nelle stesse ore in cui a Roma la Qf era attesa all’incontro al ministero. Ministero che non ha mai guardato con attenzione a quel che succedeva in Gkn e che oggi viene sospettato per lo meno di mancato controllo anche perché, all’incontro successivo, il 26 marzo, la Rsu chiede al ministro Urso se sanno o meno cosa l’azienda voglia fare dello stabilimento: “Ora convochiamo l’azienda e glielo chiediamo” fu la risposta, ma di quella convocazione non si sa nulla.
Il problema è cosa possa significare una vendita tutta dal sapore immobiliare. Il collettivo di fabbrica, infatti, nota che “non si tratta di due società immobiliari qualsiasi, ma con potenziali commistioni con la stessa proprietà di Qf”. E poi il tutto è controllato da società fiduciarie (una del Monte dei Paschi di Siena) “che quindi schermano qualcun altro ancora: chi c’è a monte di questo reticolato di società? Sempre Melrose? Francesco Borgomeo? Un grosso operatore immobiliare? Entrambi?”.
La questione ha una forte ricaduta sulla trattativa perché il sospetto lecito degli operai è che la Qf abbia messo in salvo l’asset immobiliare e si appresti a chiudere tutto con il licenziamento definitivo dei lavoratori rimasti in azienda (e che da dieci mesi non ricevono lo stipendio).
La Qf, in liquidazione, ha risposto che l’operazione «è stata eseguita, con atto pubblico e in una logica ‘infragruppò, al fine di reperire le risorse finanziarie necessarie per permettere alla Qf di far fronte al pagamento integrale degli emolumenti maturati e maturandi dai lavoratori dipendenti». In questo modo, ha aggiunto, «l’operazione ‘infragruppò, stante lo stato di occupazione che impedisce alla società di essere finanziata dal sistema bancario, permetterà alla Qf di recuperare le risorse necessarie a pagare tutto il dovuto, restando ferma la imprescindibile destinazione a sviluppo industriale dell’insediamento produttivo. Inoltre, rimane la disponibilità della società a fornire un sito produttivo alla cooperativa per il suo piano industriale nei termini che verranno discussi con la Regione e le Parti già a partire da domani pomeriggio». Quello che Qf non spiega, risponde la Rsu sentita dal Fatto, è cosa sia davvero questo “infragruppo”, chi ne fa parte, chi decide, e soprattutto quale sia il piano di sviluppo industriale del sito di cui non si è mai saputo nulla.
La scoperta tardiva di questa compravendita getta una luce nuova su una vertenza che ha attraversato la politica sindacale e dei movimenti sociali negli ultimi tre anni e su cui la “politica”, in particolare il governo nazionale e la giunta regionale toscana (Pd) non hanno voluto e saputo fare passi significativi. Ad esempio, la creazione di un consorzio regionale avrebbe permesso di discutere con le società immobiliari e procedere alla reindustrializzazione. Perché questo aspetto viene costantemente eluso. La situazione paradossale è che chi è proprietario dello stabilimento – e oggi non è più neanche questo – non ha alcun piano di reindustrializzazione mentre il collettivo Gkn un piano di reindustrializzazione ce l’ha (lo abbiamo raccontato qui sul Fatto) ma non ha lo stabilimento. E nei giorni scorsi si è invece sentito lanciare la proposta provocatoria da parte del liquidatore di Gkn, Gianluca Franchi, che in cambio dello sgombero della fabbrica ha promesso di garantire un’area industriale di circa 2000 metri quadri. La domanda dei lavoratori oggi è piuttosto scontata: “Che cosa è oggi Gkn, una fabbrica o un complesso immobiliare?“.
Le domande sono rivolte alle istituzioni politiche, a partire dalla Regione Toscana dove in Consiglio regionale giace la legge di iniziativa popolare che permetterebbe la requisizione dello stabilimento e il suo avviamento a una reindustrializzazione. Ma chiama in causa anche il ministero di Adolfo Urso che sembra essersi fatto prendere in giro dalla Qf. “Se è raggiro – continua il collettivo – questo colpisce non solo i lavoratori, ma questo nostro territorio martoriato da alluvione e crisi economica. Raggirato anche il Tribunale del Lavoro di Firenze? E cosa ne pensano prefettura e forze dell’ordine che da mesi sono tartassate da presunte denunce di uno che rappresenta una società che ha già venduto lo stabilimento?“.
La lotta del collettivo di fabbrica e della Società operaia di mutuo soccorso “Insorgiamo” va comunque avanti. Dopo l’incontro del 12 e 13 ottobre, a cui ha partecipato anche Greta Thunberg e che ha riunito gli “azionisti popolari” che hanno versato oltre 1,2 milioni di euro per il progetto di industrializzazione, è stato lanciato un ultimatum a organi politici, istituzionali e sindacali: “entro il 15 novembre vogliamo sapere se il nostro piano ha le gambe per realizzarsi e quindi se avrà il supporto necessario” altrimenti, spiega il Collettivo, “ognuno si prenderà le proprie responsabilità“. E per far capire che non si tratterà in ogni caso di una ritirata è stata già indetta una nuova giornata di mobilitazione il 17 novembre: “Non ci sono più scuse. Si paghi subito tutto il dovuto ai lavoratori, si paghino, immediatamente gli stipendi e Comune e Regione intervengano per sottrarre l’area a potenziali logiche speculative“.