Ambiente & Veleni

Insaziabile appetito per l’elettricità: ecco cosa blocca il calo delle emissioni nonostante l’aumento delle rinnovabili

Non basta: due rapporti della Iea fanno ben sperare rispetto all'ulteriore incremento di energia pulita, ma per bilanciare il sistema si dovrebbe ridurre drasticamente l'utilizzo di combustibili fossili

Volano le rinnovabili, ma le emissioni di CO2 non scendono. È quanto si evince confrontando i due rapporti, usciti nei giorni scorsi, dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. Il primo, “Renewables 2024 – Analysis and Forecast”, ha fatto il punto sulle rinnovabili nel mondo.

Ed è un punto sicuramente positivo. Secondo il rapporto, infatti, nel 2030 le fonti rinnovabili saranno in grado di generare quasi la metà dell’elettricità globale. Si prevede inoltre che la capacità rinnovabile globale crescerà di 2,7 volte entro il 2030, con l’entrata in funzione di ben 5.550 gigawatt (GW) di nuova capacità rinnovabile sempre entro il 2030, il che significa che le aggiunte di capacità rinnovabile globale continueranno ad aumentare ogni anno di 940 GW, il 70% in più rispetto al livello record raggiunto lo scorso anno. “Le rinnovabili, in particolare il fotovoltaico, rappresentano ormai una certezza”, afferma il presidente dell’associazione Italia Solare Paolo Rocco Viscontini. “I numeri del rapporto sono enormi, come è enorme lo spazio di crescita e la speranza che cambiare sia realmente possibile. Anche perché ormai le rinnovabili sono le fonti energetiche più convenienti in assoluto. Non solo: non è vero che non siano programmabili né prevedibili, oggi grazie ai sistemi di accumuli che migliorano le prestazioni e riducono i prezzi in continuazione grazie alla ricerca, le rinnovabili possono essere considerate senza alcun dubbio programmabili”.

La mancata elettrificazione dell’economia

Ma secondo il “World Energy Outlook 24”, l’altro rapporto sempre dell’AIE uscito a ridosso di quello sulle rinnovabili e che analizza lo stato dell’energia globale mondiale, le politiche attuali prevedono solo un calo del 3% delle emissioni di CO2 dal 2022 al 2030, mentre la CO2 dovrebbe diminuire del 33% entro il 2030 (rispetto al 2022). Il Rapporto dell’anno scorso prevedeva un calo del 5% della CO2, quindi il divario è cresciuto. Al tempo stesso, l’AIE prevedeva un calo dell’uso di combustibili fossili dal 2022 al 2030, mentre ora nel 2030 l’uso di combustibili fossili sarebbe uguale a quello del 2022.

Come mai? Il motivo di questo disallineamento radicale sta, secondo il rapporto, “nell’insaziabile appetito mondiale per l’elettricità”, sempre più necessaria per condizionatori e, anche, centri dati. Secondo il climatologo Luca Mercalli, “invece di sostituire il fossile, le rinnovabili si aggiungono, perché i consumi complessivi aumentano. Non bisogna dimenticare che l’elettricità è solo una parte dell’energia usata nel mondo; se pensiamo al gas del riscaldamento di casa, o alla benzina che mettiamo in automobili o aerei o nei cargo navali, ebbene questa è energia derivata immediatamente dal petrolio, senza passare dall’elettricità; quindi le rinnovabili vanno a compensare solo una parte di energia elettrica prima prodotta con gas carbone e petrolio. Finché dunque non elettrificheremo anche tutti gli altri usi, come il riscaldamento attraverso le pompe di calore, le automobili a benzina con quelle elettriche non riusciremo a vedere immediatamente un calo complessivo dell’uso del fossile che ancora ricopre l’85 per cento dell’energia del mondo”.

Il paradosso di Jevons e l’aumento della popolazione

C’è poi un secondo motivo che giustifica il mancato calo delle emissioni, spiegato sempre da Mercalli: “Le rinnovabili si stanno aggiungendo ai consumi energetici mondiali, ma non li stanno sostituendo perché nel frattempo aumentano le esigenze. I Paesi più poveri fanno progressi e possono contare su un livello maggiore di vita e di consumi; in più ci sono 80 milioni di persone al mondo ogni anno per la crescita demografica, anche se sono soprattutto nei Paesi poveri; infine c’è il cosiddetto paradosso di Jevons, per cui quando si migliora l’efficienza di un processo energetico invece di risparmiare se ne usa di più. L’esempio tipico è il cambio delle lampadine da incandescenza a led: consumano meno, invece di spegnerne allora ne metto di più, tanto spendo uguale. Ecco perché alla fine se non c’è una riflessione importante anche sulla sobrietà energetica, rischiamo di continuare a non raggiungere l’obiettivo”.

Secondo il presidente del Coordinamento Free Attilio Piattelli, invece, “le fonti rinnovabili crescono a ritmi sempre più intensi e quindi nel mix della generazione elettrica diviene sempre più rilevante il loro contributo. Ma se prendiamo i consumi lordi mondiali che tengono conto di tutti i consumi, anche energia termica e per la mobilità, l’aumento annuo complessivo, che è del 2%, non è ancora bilanciato dall’incremento delle rinnovabili e quindi anche le fonti fossili nel loro complesso aumentano e di conseguenza anche le emissioni”.

I governi, secondo il World Energy Outlook, devono fare assolutamente di più per abbandonare i combustibili fossili – del 30% entro il 2030 e del 55% entro il 2035 (petrolio 43%, gas al 50%, carbone 72% entro il 2035) – perché, anche se la crescita record delle energie rinnovabili sta mantenendo aperto uno strettissimo sentiero verso 1,5°C, senza uscita dai fossili questo spiraglio si chiuderà rapidamente.

Uno scenario incompatibile con l’aumento di 1,5 gradi

“Mantenendo i trend attuali di crescita delle fonti rinnovabili e dei consumi d’energia si prevede una compensazione al 100% degli aumenti da parte dell’energia verde entro i prossimi 10 anni, per poi arrivare a un declino delle fossili e delle emissioni negli anni successivi”, continua Piattelli. “Ma questo scenario non è compatibile con 1,5 gradi di aumento raccomandato dagli esperti e siamo, per ora, tra valori compresi tra 2,5 e 3 °C. Bisogna fare di più. E poiché non è pensabile chiedere ai Paesi emergenti di limitare i consumi per una questione d’equità e di giustizia sociale verso chi già oggi consuma un quinto o meno dell’energia pro capite rispetto a noi, come per esempio l’India, è necessario che tutte le politiche di decarbonizzazione agiscano con più incisività sullo sviluppo delle rinnovabili, sull’efficienza energetica e sulla elettrificazione dei consumi. Nel percorso di decarbonizzazione non va neppure trascurato il ruolo della finanza mondiale che purtroppo è ancora troppo legata ad investimenti in campo fossile”.

Cosa servirebbe, dunque, in concreto? Semplificare i processi di autorizzazioni, costruire e modernizzare 25 milioni di chilometri di reti elettriche e raggiungere 1.500 GW di capacità di stoccaggio entro il 2030. “Incomprensibile invece”, conclude il presidente di Italia Solare Viscontini, che “si parli di nucleare e che lo faccia Confindustria, che dovrebbe essere la prima a preoccuparsi del costo delle bollette oggi. Una scelta dannosa, che significa arroccarsi in difesa del vecchio e dell’inquinante”.