Vero è che, di questi tempi, c’è da attendersi di tutto, ma l’impressione è che questa volta – e non è la prima – il governo giochi al finto tonto. Giorgia Meloni ha annunciato misure in Consiglio dei Ministri per superare l’altolà dei giudici al rimpatrio dei migranti in Bangladesh ed Egitto. Sul piano degli strumenti, il governo potrebbe ricorrere a diverse soluzioni, tra cui la più forte sarebbe l’adozione di un decreto legge, per straordinari motivi di urgenza e necessità.

Il punto, però, è che è davvero strano immaginare che il governo non sappia che, qualunque strumento adotterà, poi i giudici non potranno far altro che disapplicarlo, che è un modo complicato per dire non applicarlo, dando invece applicazione (ancora) al diritto europeo.

La disapplicazione è infatti richiesta dalla regola del primato del diritto europeo. Primato che vale per l’eventuale contrasto con ogni tipo di fonte domestica: addirittura con una legge del Parlamento, figurarsi con un atto del governo. E questo primato opera a favore del diritto europeo così come interpretato dalla Corte di giustizia, che è la custode della sua corretta applicazione.

D’altra parte, se non fosse garantita questa prevalenza, sarebbe compromessa la tenuta di tutta la costruzione giuridica e politica ed europea. Se uno Stato membro potrebbe svincolarsi dagli obblighi decisi nelle comuni sedi europee semplicemente con l’adozione di un atto normativo interno successivo, stiamo qui a pettinar le bambole?

I giudici del Tribunale di Roma che hanno così irritato il governo hanno applicato questo primato. È infatti una sentenza della Corte di giustizia, del 7 maggio scorso, che – interpretando la direttiva 2013/32 – ha chiarito che “la designazione di un Paese come di origine sicuro dipende dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione“. Circostanza non verificabile in Egitto e Bangladesh, ma per questo basta in fondo andarsi a leggere la pagina Viaggiare sicuri sul sito del Ministero degli Esteri.

Il Consiglio dei Ministri, ora, potrà approvare tutte le norme che vuole, in tutte le forme che vuole. I giudici non potranno far altro che far valere di nuovo il primato del diritto europeo appena richiamato, disapplicando la normativa italiana in contrasto. Ha ragione Meloni quando dice che “non spetta ai giudici stabilire quali Paesi sono sicuri e quali no”: spetta, infatti, al diritto europeo, e sarà quello che i giudici faranno prevalere.

Il governo tutto questo lo sa bene, e se dovesse decidere di tirare dritto è perché vuole cercare uno scontro “a doppia mira”, come cantava Scarpia al finire del primo atto di Tosca.
Anzitutto uno scontro immediato, ma con un sapore più che ventennale, con la magistratura di cui ancora il governo potrà lagnarsi della mancata “collaborazione”. E pazienza se la natura della separazione dei poteri informata al meccanismo dei pesi e contrappesi non chiede alcuna “collaborazione”: chiede, piuttosto che il potere arresti il potere, secondo la nota formula di Montesquieu – e che quindi in certe circostanze gli faccia proprio da opposizione.

Ma poi uno scontro con l’Europa dei diritti, che è il vero grande e ultimativo ostacolo al disagio della nostra destra con la formula democratica. Perché, se veramente le cose andassero avanti fino in fondo, l’esito istituzionale non potrebbe che essere un conflitto di attribuzioni tra governo e magistratura, dinanzi al quale forse la Corte costituzionale potrebbe mettere la patata bollente nelle mani della Corte di giustizia europea, che farebbe il cattivo di turno.

È uno scontro da cui, quasi sicuramente, il governo Meloni ne uscirebbe perdente. Ma intanto avrebbe capitalizzato un consenso elettorale non da poco.

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