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Morto Fethullah Gulen, fu accusato da Erdogan di aver organizzato il colpo di stato in Turchia nel 2016

Fethullah Gulen, influente predicatore islamico turco, ritenuto da Ankara la mente del tentato golpe contro il presidente Recep Tayyip Erdogan del 15 luglio 2016, è morto a 83 anni. La notizia è stata pubblicata da Herkul, sito vicino al predicatore, e viene ripresa dai maggiori media turchi.

Gulen si è spento in Pennsylvania, dove viveva dopo essersi trasferito negli Usa nel 1999, senza più tornare in Turchia. Capo di una confraternita religiosa con milioni di seguaci, Gulen inizialmente fu alleato di Erdogan ma nel 2012 i due entrarono in conflitto. Il 4 agosto 2016, venti giorni dopo il tentato colpo di Stato, la corte di Istanbul aveva spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti con l’accusa di “aver guidato il golpe del 15 luglio”.

Sodale del presidente per almeno un ventennio, con un impero economico da 25 miliardi di dollari che travalica i confini della Turchia attraverso scuole, media e asset finanziari, Gulen era diventato la principale ossessione del sultano, che da tempo cercava di scardinare la sua rete. Magnate, mistico, editore, intellettuale, imam. Sono tanti gli appellativi per quest’uomo, nato a Erzurum, nella profonda Turchia orientale, che affermava di credere nella scienza, nel dialogo interreligioso e in una democrazia multipartitica, e avrebbe aperto anche canali di dialogo con il Vaticano e con organizzazioni ebraiche.

Guidava una comunità religiosa, la confraternita ‘Hizmet‘, che fino al golpe in Turchia contava decine di migliaia di attivisti e una cerchia di simpatizzanti stimata tra 4 e 5 milioni di persone. Aveva fondato una rete di scuole e università private, non coraniche, che si è diffusa in altri 110 Paesi, all’insegna di un islam moderato e più aperto all’esterno. E poi l’impero mediatico, che poteva contare tra l’altro sul quotidiano Zaman, commissariato dopo il tentato golpe, e l’agenzia di stampa Cihan.

Tale potenza di fuoco era stata messa al servizio di Erdogan nella sua scalata al potere, in nome della rivincita dell’islam politico sul laicismo del padre fondatore Kemal Ataturk, di cui le forze armate sono tradizionali custodi. E proprio per sfuggire ai militari, nel ’99 era scappato negli Stati Uniti. Il sodalizio con Erdogan però si era interrotto drammaticamente con l’esplosione della cosiddetta “Tangentopoli sul Bosforo”, a pochi giorni dalle elezioni.

Il sultano accusava Gulen di esserne il regista e di voler creare uno “Stato parallelo” infiltrando i suoi seguaci nelle file di polizia, magistratura e burocrazia. Da quel momento in poi aveva mosso guerra aperta all’ex amico in esilio, che si era visto requisire la holding che controlla i suoi media, piuttosto critici verso il governo (da cui sono arrivati tra l’altro gli scoop sul rifornimento di armi dalla Turchia all’Isis). E poi anche parte di un fondo governativo della Banca Asya, il braccio finanziario di Gulen.