“Fare il Ponte sullo Stretto sarebbe un disastro; aprire i cantieri e lasciarli incompiuti, però, sarebbe una vera tragedia e questo timore deriva anche dal fatto che nel contratto che dovrebbe essere stipulato per la realizzazione dell’opera ci sono indennizzi tali che rendono quasi conveniente non chiudere i lavori. Ma ora il problema prioritario e quello dell’inevitabile impatto ambientale gravissimo e irreversibile che il Ponte causerebbe”. Gaetano Benedetto, presidente Centro Studi WWF Italia, mostra le seicento pagine di Osservazioni redatte da 39 tecnici tra cui docenti universitari (vicini alle associazioni Italia Nostra, Kyoto Club, Legambiente, LIPU, MAN, ISDE Medici per l’Ambiente, “Società dei Territorialisti” e ai comitati “Invece del Ponte” e “No Ponte – Capo Peloro” , oltre al WWF stesso) presentate alla Commissione Valutazione Impatto Ambientale (VIA) del ministero dell’Ambiente. Osservazioni che contestano nel merito e nel metodo le integrazioni depositate dallo Stretto di Messina Spa, un mese fa, in risposta alle richieste della Commissione stessa. E puntano il dito contro un approccio “giustificativo”, più che oggettivamente valutativo, dell’opera che appare dunque palesemente “ideologica”. “La Società del Ponte”, continua Benedetto “non nega le problematiche, ma le minimizza, in modo che possano sembrare gestibili attraverso un sistema di compensazioni e mitigazioni per nulla sono proporzionali al tremendo impatto dell’opera”.

Nel progetto del Ponte non si considera l’effetto “cumulo”. Può spiegare di che si tratta?

Per stare nei tempi di legge la società Stretto di Messina si è affidata a una pluralità di soggetti, ciascuno dei quali ha autonomamente lavorato su una o più integrazioni richiesta, ma una valutazione dell’insieme degli impatti ambientali non c’è. È come se noi immettessimo in un fiume scarichi valutati singolarmente secondo i limiti tabellare di legge; anche i limiti sono rispettati, non è detto che la sommatoria degli scarichi sia compatibile con il fiume che quindi muore. Ecco l’effetto “cumulo” che obbligatoriamente dev’essere valutato. Restano comunque l’insufficienza o l’inefficacia delle singole misure individuate.

Un altro punto che denunciate è l’assenza di una Valutazione di Impatto Strategica (VAS).

Questa procedura garantirebbe una partecipazione degli stakeholder, cittadini compresi, per accompagnare la progettazione valutando tutte le opzioni, compresa quella zero. Quello che chiamiamo progetto Ponte in realtà è un complesso programma di opere che coinvolge 29 Comuni che modifica molti piani vigenti (paesaggistici, urbanistici, naturalistici), è assurdo dunque che non ci sia stata una VAS.

Uno dei problemi più grandi è la minaccia dell’avifauna.

Abbiamo ricordato che siamo su una delle 25 rotte migratorie più importanti del mondo. D’altronde la stessa società del Ponte aveva prodotto già nel 2006 uno studio ben fatto della Società Ornitologica Svizzera che dava dati diversi da quelli oggi presentati. Quello studio è stato sostituito da un altro fatto in tempi ben più contenuti con un diverso utilizzo radar e guarda caso i conti oggi tornano, gli uccelli volerebbero ad una altezza di 750 metri sopra il Ponte. Abbiamo spiegato perché il radar non doveva essere usato in quel modo, abbiamo prodotto le analisi pluriennali sull’andamento dei venti che condizionano il volo. Ma ci sono di foto che mostrano che gli uccelli volano anche in modo radente alle case.

Altro punto: la questione idrica. Si fa una mega opera in un’isola senz’acqua.

I cantieri del Ponte necessitano di tanta acqua e Messina è una città che non ha sempre acqua nei rubinetti. A questo si vorrebbe rispondere proponendo captazioni idriche e un dissalatore: ma le prime necessitano di valutazioni ambientali specifiche e autorizzazioni che vanno prima ottenute, il secondo al momento è poco più di un’idea progettuale e necessita di un suo procedimento autorizzativo.

Lei sostiene che si è di fronte a un problema culturale, in che senso?

Manca una percezione valoriale dell’area dello Stretto. Prevale una visione pseudomodernista che vede il futuro ancora come grande sfida tecnologica nei confronti della natura, per cui il ponte resisterà ai venti, al terremoto, a tutto, porterà benessere e risolverà finalmente i problemi del Mezzogiorno. A parte conclamati problemi tecnici, ambientali ed economici, è il pensiero di fondo a essere sbagliato.

E poi c’è anche la questione dei soldi: quanti sono?

Al momento nessuno lo sa e lo può dire. I dichiarati 13 miliardi e mezzo, più 1 miliardo di opere connesse, che sono impegnati sul bilancio dello Stato fino al 2032 non basteranno certamente. Il progetto esecutivo necessita di test preliminari indicati dallo stesso progettista i cui esiti potrebbero portare a varianti, la stessa Società di Messina non ha quantificato i costi complessivi delle mitigazioni (insufficienti) che propone, in caso di prescrizioni della Commissione VIA queste avranno un costo, i tempi di lavoro pesano milioni di euro al giorno e la loro stima non è stata verificata col progetto esecutivo che ancora non c’è, per non dire dei costi di gestione. Il Ponte è un buco nero nei bilanci pubblici.

A proposito di terremoto: il rischio sismico esiste o no?

Su questo tema il dibattito è un aspetto surreale: stiamo ancora discutendo sul fatto se esista o no una faglia sismica attiva, e comunque si afferma che il Ponte resisterà, questo ovviamente se il terremoto non supererà la magnitudo di 7.1 Richter cosa di cui i progettisti si dicono certi. Una scommessa col destino insomma. Noi abbiamo presentato due studi geologici che pongono seri interrogativi su queste certezze.

Il governo sta cercando di spingere il Ponte con una serie di norme legislative. Cosa ne pensate?

Prima si resuscita il Ponte abrogato da Monti insieme a una società a partecipazione pubblica che non aveva ragione di esistere, poi si assegna l’opera attraverso un escamotage finanziario per stare nei limiti comunitari che consentono di non fare un nuova gara pubblica, poi con fiducia si approva una norma previo decreto legge che consente al Ponte di essere cantierato in parti separate quindi anche senza un progetto esecutivo complessivo, poi sempre con decreto legge si accresce il potere del governo rispetto la procedura VIA in caso di disaccordi tra ministeri. Insomma il tentativo di blindatura non tanto del Ponte, quanto degli interessi che intorno a questo ruotano è palese e non giustificabile. Si tratta di un progetto carico di illogicità, oltre che di criticità ambientali e strutturali. Abbiamo ragioni solide tali da ritenere che la Commissione possa chiuda il procedimento VIA con parere negativo, a nostro parere non potrebbe essere altrimenti.

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