C’era una base logistica a Crotone e una a Ventimiglia da dove poi i migranti attraversavano il confine con la Francia. È quello che hanno scoperto gli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Crotone e dallo Scico, il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata, che stamattina hanno eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare in carcere. I provvedimenti sono stati emessi dal giudice per le indagini preliminari su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore Vincenzo Capomolla.

In manette nell’inchiesta Levante finiti soggetti stranieri, di nazionalità irachena, che sono stati individuati nelle province di Bologna, Brescia, Crotone, Roma, Imperia, Milano e Vibo Valentia.

Al termine delle indagini, il sostituto procuratore della Dda Paolo Sirleo contesta agli arrestati il reato di associazione dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed al riciclaggio del denaro provento dell’attività illecita.

In sostanza, l’organizzazione era articolata in cellule presenti in Italia e all’estero, i cui appartenenti, pur con compiti differenti, avevano l’obiettivo di far giungere i migranti in Italia, sfruttando la rotta marittima del Mediterraneo orientale e a farli espatriare verso la Francia e altri Stati del nord Europa.

L’inchiesta “Levante” ha ricostruito come gli arrestati si occupassero della gestione dei migranti, prevalentemente curdi, sbarcati in Calabria, nel Crotonese. Qui venivano intercettati dagli indagati che organizzavano i viaggi in autobus e in treno verso Milano e soprattutto verso Ventimiglia dove i curdi venivano affidati a dei passeur che erano a loro disposizione per fargli raggiungere la Francia.

Per alcuni era la destinazione finale mentre per altri un passaggio obbligato per poi andare in Inghilterra. Grazie anche ad alcuni filmati e alle intercettazioni, il pm Sirleo e la Guardia di finanza sono riusciti a documentare non solo il percorso dei migranti ma anche come questi effettuassero il pagamento del viaggio attraverso il metodo hawala. Nell’inchiesta, infatti, è emerso che c’erano dei negozi dove i curdi dovevano recarsi per consegnare somme di denaro. Cifre che venivano annotate sia in Italia che nella contabilità parallela gestita dai complici degli iracheni arrestati.

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