Ambiente & Veleni

Alluvioni, gli agricoltori delle zone colpite contano di nuovo i danni. “A 10 mesi dall’approvazione del Piano ancora non ci sono i fondi statali”

In provincia di Reggio Emilia ci sono i vigneti nella zona di Cadelbosco di Sotto, dove il canale Tassone e il torrente Crostolo hanno rotto gli argini, ma l’ultima alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna, ha lasciato dietro di sé danni in tutte le province, a serre, magazzini di stoccaggio e cantine, alle barbabietole da zucchero ancora da raccogliere e alle semine dei cereali autunno-vernini che sono state bloccate. Ma gli eventi estremi colpiscono i campi anche di altre regioni. In Lombardia i nubifragi hanno paralizzato le attività di raccolta di riso, mais e soia, per cui si temono importanti cali produttivi. In Toscana, invece, va avanti la conta dei danni dopo che migliaia di ettari di campi sono stati sommersi da acqua e fango tra Livorno, Grosseto e Pisa in seguito all’esondazione di fiumi e canali, tra cui il Cornia, lo Sterza e il Cecina. Pesantissimi i contraccolpi per le coltivazioni e le strutture con ortaggi andati completamente distrutti, olivi e vigneti sradicati e recinzioni spazzate via dalla violenza dell’acqua e del fango fuoriuscita da canali e fossi. E mentre le associazioni di categoria chiedono la messa in sicurezza dei territori, non sono ancora stanziate le risorse del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

I danni in Emilia-Romagna – Il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini, ricordando la perdita della diciottesima vita umana, quella di Simone Farinelli, a causa delle alluvioni che da maggio dell’anno scorso sferzano il territorio regionale, descrive la situazione e gli effetti sui campi. “Da Parma a Reggio, Modena, Ferrara e Bologna, l’agricoltura è finita di nuovo sott’acqua con danni importanti agli impianti frutticoli e viticoli – spiega – alle orticole in campo, alle barbabietole da zucchero ancora da raccogliere, alle semine bloccate dei cereali autunno-vernini, ma anche alle strutture aziendali: serre, magazzini di stoccaggio, cantine e stalle”. Molte delle aziende colpite dalla nuova ondata di maltempo non hanno nemmeno finito di anticipare le spese per i danni di precedenti eventi catastrofali quali gelate, trombe d’aria, allagamenti e fenomeni franosi. Le piogge incessanti hanno travolto, per la terza volta in un anno, i terreni agricoli e le stalle nella zona di Fidenza e Castione Marchesi fino a Busseto, nel Parmense, i vigneti nella zona di Cadelbosco di Sotto, dove il canale Tassone e il torrente Crostolo hanno rotto gli argini, in provincia di Reggio Emilia, la zona di Carpi e Bomporto nel Modenese e quella di Campotto nel Ferrarese, già devastata dalle altre tre alluvioni. Si sono allagate anche le colture nell’hinterland bolognese a Budrio, Anzola, Castel Guelfo, Imola, Malalbergo e Baricella, come a Casalecchio, San Lazzaro, Pianoro e Monterenzio.

In Lombardia si temono cali produttivi su riso, mais e soia – Come racconta Coldiretti, però, l’Emilia-Romagna non è l’unica regione a fare la conta dei danni. In Lombardia i nubifragi hanno paralizzato le attività di raccolta di riso, mais e soia, “con i campi ridotti a paludi”. Seminate in ritardo a causa delle piogge primaverili, su queste coltivazioni ora si temono cali produttivi al momento stimati tra il 20% e il 30% in meno rispetto ad annate normali. “Ma il rischio potrebbe essere anche quello di perdere completamente la produzione rimasta in campo – spiega Coldiretti – se le condizioni meteo sfavorevoli dovesse perdurare ancora”. Ritardi si registrano anche negli sfalci dei prati, oltre che nella maturazione e nella raccolta delle olive. “Con i terreni impraticabili – sottolinea Coldiretti – non si può neppure procedere con le semine dei cereali autunno-vernini, come frumento e orzo, che andrebbero fatte in questo periodo”. Di fatto, in alcuni campi la raccolta di mais si è fermata a metà, nei silos manca il 30 per cento dei mais e quello che rimane sta costringendo molti allevatori a comprare granella all’estero. E il fatto che le operazioni di raccolta siano in ritardo, in alcuni casi di un mese, un mese e mezzo, comporta una serie di problemi, a iniziare dal fatto che l’eccesso di pioggia porta alla formazione di muffe. In Toscana, invece, va avanti la conta dei danni dopo che oltre duemila ettari di campi sono stati sommersi da acqua e fango tra Livorno, Grosseto e Pisa in seguito all’esondazione di fiumi e canali, tra cui il Cornia, lo Sterza ed il Cecina. Pesantissimi i contraccolpi per le coltivazioni e le strutture con ortaggi andati completamente distrutti, olivi e vigneti sradicati e recinzioni spazzate via dalla violenza dell’acqua e del fango fuoriuscita da canali e fossi.

La messa in sicurezza, senza le risorse del Pnacc – E mentre Coldiretti chiede alle istituzioni, nazionali ed europee, di garantire l’erogazione rapida di aiuti a sostegno delle imprese danneggiate, definendo “inaccettabile” che la burocrazia “non riesca a rispondere con la rapidità necessaria per affrontare le emergenze che affliggono i nostri agricoltori”, il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini, chiede che “la messa in sicurezza del territorio sia una priorità”. E aggiunge: “Abbiamo bisogno del sostegno delle istituzioni, occorrono politiche per la messa in sicurezza del territorio e un sistema di gestione del rischio che sappia davvero tutelare le produzioni agricole, con adeguate coperture assicurative”. Da qui, la richiesta all’Unione europea di destinare parte delle risorse del Fondo di crisi anche alle comunità dell’Emilia-Romagna. Anche per Stefano Francia, presidente di Cia Emilia Romagna “serve un piano straordinario di messa in sicurezza del territorio che preveda, oltre che la manutenzione dei corsi d’acqua, la realizzazione di infrastrutture che possano aiutare a gestire fenomeni che sono ormai eventi ordinari. Gli interventi in emergenza, seppur necessari, non sono la soluzione”. Ed a questo dovrebbe servire il Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) approvato nel dicembre 2023, che prevede la realizzazione di 361 azioni. “A dieci mesi dall’approvazione – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – devono essere ancora stanziate le risorse economiche per attuare gli interventi previsti. Un ritardo inspiegabile mentre l’Italia continua ad andare sott’acqua”.