Qualcosa si è spezzato. Gli oceani, le foreste, i terreni sono tutti pozzi di carbonio naturali del pianeta, ossia assorbono da decenni circa la metà delle emissioni prodotte dalle attività umane, regolando il clima del Pianeta. Sono migliaia i processi che consentono questo prodigio naturale, anche quelli che riguardano lo zooplancton: di notte miliardi di crostacei e altri organismi marini salgono in superficie per nutrirsi delle alghe microscopiche, per poi ritornare sul fondale dopo aver contribuito a rimuovere milioni di tonnellate di carbonio dall’atmosfera ogni anno.

Ma nel 2023 è accaduto qualcosa di anomalo rilevato dal gruppo di scienziati della Tsinghua University di Beijing, in Cina, dell’Università di Exeter in Gran Bretagna, dell’università di Lipsia in Germania e del Consiglio Nazionale della Ricerca francese: le emissioni antropiche di CO2 sono cresciute di circa lo 0,5%, eppure la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto livelli da record. Secondo gli autori dello studio “L’analisi del bilancio del carbonio a bassa latenza rivela un forte declino del pozzo di carbonio terrestre nel 2023”, presentato il 29 luglio a una conferenza internazionale in Brasile, l’anno scorso sono collassati i principali serbatoi di carbonio del Pianeta, dalle foreste agli oceani, arrivando ad assorbire dalle 3,5 alle 6 volte meno anidride carbonica di quanto facciano normalmente. Una situazione sottolineata anche durante la recente New York Climate Week. “Gli ecosistemi terrestri stanno perdendo la loro capacità di accumulo e assorbimento del carbonio, ma anche gli oceani stanno mostrando segni di instabilità” ha spiegato Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research.

Lo studio sul collasso dei pozzi di carbonio – I ricercatori hanno analizzato i dati della stazione di riferimento, l’osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii, dove è stato rilevato un tasso di crescita della CO2 (3,37 parti per milione, con un aumento dell’86% in più rispetto al 2022) che rappresenta un record assoluto da quando sono iniziate le osservazioni, nel 1958. Un dato non in linea con il lieve aumento delle emissioni antropiche e che gli scienziati si spiegano proprio con un indebolimento dei pozzi di carbonio. Nel 2023 sono stati in grado di assorbire tra 1,5 e 2,6 miliardi di tonnellate di CO2, mentre nel 2022 ne avevano catturato circa 9,5 miliardi e, comunque, la media dell’ultimo decennio è di 7,5 GtCO2. Legittima la domanda: cosa succede se smettono di funzionare i pozzi naturali su cui l’umanità ha fatto sempre affidamento, anche per continuare a emettere?

Cosa accade negli Oceani – Gli oceani, il più grande pozzo di carbonio della natura, hanno assorbito il 90% del riscaldamento causato dai combustibili fossili negli ultimi decenni, ma questo ha anche determinato un aumento delle temperature delle acque. Nel frattempo, i ghiacciai della Groenlandia e le calotte polari artiche si sciolgono a velocità fino a poco tempo fa inimmaginabili e questo sta interrompendo la corrente oceanica del Golfo e rallentando la velocità con cui gli oceani assorbono carbonio. Anche perché lo scioglimento del ghiaccio marino potrebbe esporre lo zooplancton a una maggiore luce solare, spingendo questi animali a rimanere più a lungo negli abissi.

Siccità e incendi, le nuove cause del collasso sulla Terra – Il crollo del 2023 del pozzo di carbonio terrestre potrebbe essere temporaneo. Un ruolo importante nel collasso, infatti, lo hanno avuto siccità e incendi che, però, mostrano la fragilità di un sistema basato su un delicato equilibrio. Le foreste boreali ospitano circa un terzo di tutto il carbonio presente sulla terraferma. Si estendono tra Russia, Scandinavia, Canada e Alaska e hanno registrato un calo di oltre un terzo della quantità di carbonio che assorbono, a causa di infestazioni di coleotteri, disboscamenti per il legname e incendi legati alla crisi climatica. Come ricorda un recente articolo del The Guardian, inoltre, solo una grande foresta pluviale tropicale, il bacino del Congo, rimane un pozzo di carbonio che rimuove più di quanto rilascia nell’atmosfera.

Il bacino dell’Amazzonia, invece, deve fare i conti con El Niño, la deforestazione e il riscaldamento globale, mentre l’espansione dell’agricoltura ha trasformato le foreste pluviali tropicali nel sud-est asiatico in una fonte netta di emissioni negli ultimi anni. Nel frattempo, si prevede che le emissioni dal suolo, che costituisce la seconda più grande riserva di carbonio attivo dopo gli oceani, aumenteranno fino al 40 per cento entro la fine del secolo. I modelli degli scienziati concordano sul fatto che sia il cedimento terrestre che quello oceanico diminuiranno in futuro a causa del cambiamento climatico, ma questo potrebbe accadere prima di quanto non ci si aspetti. I modelli attuali, infatti, non tengono conto di fonti di emissione diventate sempre più importanti negli ultimi anni. Basti pensare che gli incendi boschivi divampati nel 2023 in Canada hanno rilasciato tanto carbonio quanto sei mesi di emissioni di combustibili fossili negli Stati Uniti.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Italia paradiso fiscale per le auto aziendali inquinanti: prima in Europa per agevolazioni, oltre 16 miliardi all’anno

next
Articolo Successivo

La crisi climatica non dà tregua: allerta meteo rossa in Veneto, arancione in Emilia-Romagna. Allarme anche in Lombardia e Sardegna

next