di Giuseppe Mammana
Mentre Valditara presenta con toni trionfalistici i progetti di intelligenza artificiale che partiranno in alcuni regioni, e che nel lungo termine potrebbero mutare il volto della scuola italiana, i docenti attraversano una crisi irreversibile, un caos che sta per mettere a repentaglio il ruolo degli insegnanti e del sistema di inclusione italiano.
A partire da quest’anno migliaia di supplenti, specializzati sul sostegno per la secondaria di secondo grado (Adss), resteranno a casa, a seguito di alcune scelte ministeriali. A Roma, ad esempio, su 8.000 persone iscritte in prima fascia Adss, solo 3.000 hanno ottenuto un incarico annuale. Una situazione esplosiva che ha spinto i docenti, nel giro di pochi mesi, a partecipare a diversi scioperi. Prima manifestando davanti le scalinate del Miur, ad uno sciopero indetto dalla Cgil, il 4 settembre. E dopo, il 12 dello stesso mese, partecipando ad un corteo indetto dalle sigle del sindacalismo di base (Clap, Cobas, Cub e Usb), che ha visto la partecipazione del Collettivo di Docenti di sostegno Specializzati (Cdss) e del movimento di docenti, Educazione senza prezzo (Esp). In particolare, il 12 ottobre, il corteo giunto al Colosseo dietro lo striscione “un’altra scuola è possibile” ha dato prova di unitarietà tra docenti e tra lavoratori della scuola. La manifestazione ha visto la partecipazione dei docenti idonei dei concorsi precedenti (del concorso 2020 e non solo) che ancora attendono l’immissione in ruolo, scavalcati dagli idonei vincitori del concorso Pnrr 2024.
E un’ampia partecipazione di studenti delle scuole superiori e degli ex assistenti educativi per l’autonomia: gli educatori che lavorano, tramite cooperativa, con i ragazzi con disabilità. Con quest’ultimi i docenti di sostegno condividono sia i percorsi di inclusione che gli esorbitanti costi di formazione: le cifre per diventare operatore si aggirano tra gli 800-1000 euro, a fronte di salari percepiti tra i 600-700 euro al mese. Allo stesso modo i docenti di sostegno, prima di approdare in cattedra come durante la loro carriera, devono spendere migliaia di euro – tra percorsi di abilitazione e altre certificazioni linguistiche – a fronte di salari tra i più bassi in Europa, e non indicizzati con il livello di inflazione.
Tra i cori sollevati in piazza – a proposito dei costi di abilitazione – i docenti di sostegno protestavano contro i corsi Indire (l’Istituto nazionale, di documentazione e ricerca educativa) organizzati dal Ministero, in partenza nei prossimi mesi. Con il decreto 71, approvato a maggio, di quest’anno, il Ministero (fino al 31 dicembre 2025), per aumentare il numero di specializzati sul sostegno, avvierà dei percorsi specifici per docenti con tre anni di servizio, e per gli insegnanti con un titolo di abilitazione estero. Ma la vera novità è un’altra: i crediti da conseguire saranno la metà (30 cfu) rispetto a quelli necessari (60 cfu) per avere il titolo in Italia. Il corso sarà destinato anche ai docenti di sostegno della secondaria di secondo grado, dove le graduatorie degli abilitati in molte province italiane sono ormai sature.
Una decisione che suscita numerose perplessità perché se si formasse un’unica graduatoria, per tutti gli ordini e gradi, si potrebbe ovviare alla carenza di docenti specializzati, “spostando” il personale dove c’è più richiesta. Risolvendo in un colpo solo due questioni: il problema dei disoccupati tra i docenti abilitati sul sostegno, e la riduzione degli 85.000 non specializzati che lavorano nelle scuole.
Un’altra criticità del percorso Indire è connessa alle abilitazioni prese all’estero – in molti casi conseguite con dubbia validità – che con il decreto potranno “condonare” la loro posizione, tramite un corso online, e pagando la metà della cifra sborsata dagli abilitati in Italia. Una vera e propria ingiustizia, perché è folle equiparare un corso di pochi mesi ad un percorso di specializzazione di durata annuale. Per questo il Cdss chiede la costituzione di una graduatoria prioritaria finalizzata al ruolo, per gli abilitati in Italia: il minimo che si possa fare per ripagare gli enormi sacrifici economici, di tempo e lavoro, sostenuti dai docenti nel corso di un anno di studio, e non solo.
Allo stesso modo il corso Indire si configura come l’ennesima ingiustizia anche per i triennalisti: perché seppur i costi saranno più contenuti – se raffrontati al corso di specializzazione Tfa – il Ministero continua a tenere i docenti intrappolati nella precarietà. Qualche settimana fa, la Commissione Europea ha deferito l’Italia per abuso di contratti a tempo determinato e per la mancata progressione salariale: una misura che denuncia una disparità di trattamento tra precari e docenti di ruolo. Eppure il ministro continua a “ricattarli” chiedendo altro denaro, senza sanare l’abuso tramite l’immissione in ruolo dei docenti precari. Secondo le stime riportate nel portale della scuola, nel MiM si è passati, da circa 100mila supplenti, su un totale di 833mila insegnanti nel 2015/2016, a 234mila supplenti, nel 2022/2023, su un totale di 943mila insegnanti.
Una cifra al ribasso, che comprende solo i supplenti con un contratto annuale (i docenti che lavorano fino al termine delle attività didattiche), non tenendo conto delle persone che stipulano spezzoni orari, contratti settimanali e mensili con le scuole.
I docenti, in piazza, rivendicano, inoltre, una reale accessibilità ai corsi di abilitazione e di formazione. Fiaccati dai sacrifici economici, e dubbiosi della reale valenza formativa di questi corsi – che nella maggior parte dei casi si palesano come un modo per aumentare i profitti delle università private e telematiche, o la competizione sterile tra docenti -, i docenti chiedono che i corsi siano a carico del Ministero, e non più dell’insegnante.
Infine, i diversi interventi pongono l’accento sui ritardi negli stipendi: solo in questi giorni si sta sbloccando la situazione dei salari, attraverso un’emissione speciale in cui verrà accorpato il pagamento dei mesi di settembre e ottobre, malgrado i docenti lavorino da più di un mese. Non c’è più tempo. E’ giunto il momento di dire basta a questa precarietà insostenibile che travolge il mondo della scuola.