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Elezioni Usa, 15 milioni di americani hanno già votato. Per Harris e Trump testa a testa negli Stati chiave

Mancano soltanto due settimane al 5 novembre, giorno in cui gli americani sceglieranno tra Donald Trump e Kamala Harris. In 15 milioni però si sono già espressi con l’early voting, di persona oppure per posta. E ora i due candidati setacciano i sette stati in bilico (Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona, Nevada, Georgia, North Carolina) a caccia degli ultimi indecisi. La vicepresidente vola nella Rust Belt, in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, con l’ex deputata repubblicana Liz Cheney per corteggiare i moderati dei sobborghi urbani, mentre il tycoon sbarca in North Carolina in una delle città più colpite dall’uragano Helene e attacca la sua rivale perchè fa campagna con un “falco guerrafondaio”, ovvero la figlia dell’ex vicepresidente americano.

Harris in vantaggio nella raccolta fondi – I due candidati alla Casa Bianca restano testa a testa nei sondaggi ma Harris surclassa il tycoon nella raccolta fondi e nelle spese elettorali, in un rapporto di 3,5 a 1. La campagna della leader dem ha stabilito lo scorso trimestre il record di un miliardo di dollari, di cui 222 milioni solo a settembre, contro i 63 del suo rivale, che sta andando peggio rispetto alla campagna 2020. Alla fine del mese scorso Harris aveva in cassa 187 milioni, dopo averne spesi quasi 270, mentre l’ex presidente contava su un cash di 119 milioni dopo averne sborsati circa 77. Spinta dalla convention e dal dibattito tv, Harris ha beneficiato anche del fundraising tra le star di Hollywood.

La sostanziale parità nei sondaggi – Eppure la candidata dem non riesce a staccare il rivale nei sondaggi, dove anzi perde qualcosina. E se a livello nazionale resta avanti di poco (+1% nella media di RealClearPolitics), continua il serrato testa a testa elettorale in tutti e sette gli stati chiave che decideranno le sorti della Casa Bianca. Secondo il sondaggio Washington Post-Schar School pubblicato oggi Harris e Trump si trovano di fatto in una situazione di parità, dal momento che nessuno dei due ha un vantaggio statisticamente significativo. Tra i probabili elettori, Trump è in vantaggio in Arizona (49% contro il 46%) e North Carolina (50% contro il 47%), mentre Harris è in testa in Georgia (51% contro il 47%), Michigan (49% contro il 47%), Pennsylvania (49% contro il 47%) e Wisconsin (50% contro il 47%). In Nevada i due candidati sono in perfetta parità, al 48%. Negli stati chiave il margine di errore dei sondaggi oscilla tra un 3,9 e il 5%. Il sondaggio registra anche come rimangono invariate le questioni su cui i candidati raccolgono più sostegni: Trump è in testa per immigrazione ed economia, Harris per clima, aborto e lotta alla criminalità.

Certo, il fundraising pesa. Ma The Donald conta molto sull’offensiva di un alleato come Elon Musk, che nei sette stati cruciali ha lanciato una lotteria da un milione di dollari al giorno tra gli elettori registrati che firmano una petizione a favore del primo e del secondo emendamento (sulla libertà di parola e il diritto di portare armi): un modo per ipotecare il loro voto a favore del leader repubblicano ma che ha sollevato crescenti dubbi sulla legalità dell’iniziativa. A partire dal governatore locale Josh Shapiro, che ha invitato gli inquirenti ad indagare, e dal New York Times, che ha rilanciato anche il rischio di un “potenziale enorme conflitto di interessi” nel caso Trump nomini l’uomo più ricco del mondo alla guida di una nuova “commissione per l’efficienza governativa”, che lo trasformerebbe da controllato a controllore e regolatore. Musk è infatti uno dei maggiori contractor del governo Usa, che gli ha promesso 3 miliardi di dollari con quasi 100 differenti contratti in 17 agenzie federali, dalla Nasa al Pentagono, mentre le sue società sono coinvolte in almeno 20 indagini o controlli recenti. Ma l’ex presidente tira dritto, incurante di ogni polemica, compresa quella sulle volgarità dei suoi comizi. E assesta colpi d’immagine friggendo patatine in un McDonald’s per accusare la sua avversaria di non averci mai lavorato da studentessa, come lei racconta. Harris invece continua la sua campagna, forse troppo misurata ed evasiva, a volte anche contraddittoria sulla continuità o meno con Joe Biden. Cancellando dalla sua agenda il Green New Deal, la sanità universale e lo stop al fracking, con brusche sterzate al centro che fatica a spiegare. Per ora l’ala progressista del partito fa quadrato, ritenendo prevalente la minaccia democratica di Trump. Ma il malumore cova, anche nella base.