Aprire una pratica a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati, dopo le ordinanze dei giudici del tribunale di Roma sui migranti in Albania. È quello che hanno chiesto quasi tutti i componenti togati del Consiglio superiore della magistratura – cioè gli eletti tra le toghe – esponenti delle correnti di Area, Magistratura democratica e Unicost e gli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda. Una richiesta non appoggiata dagli esponenti di Magistratura indipendente, la componente storicamente più vicina alle posizioni della destra, alla quale appartiene il sottosegretario Alfredo Mantovano.

La pratica a difesa dei giudici – “Le critiche alle decisioni giudiziarie non possono travalicare il doveroso rispetto per la magistratura”, si legge nel documento, dove si citano “le dichiarazioni di queste ore da parte di importanti rappresentanti delle istituzioni” che “alimentano un ingiustificato discredito nei confronti della magistratura”. Le firme della petizione sono 16, cioè la maggioranza del Consiglio superiore. La petizione è stata sottoscritta anche i componenti laici, quelli eletti dal Parlamento: Ernesto Carbone (in quota Italia Viva), Michele Papa (M5s) e Roberto Romboli (in quota Pd). “A seguito di alcune recenti ordinanze adottate dal tribunale di Roma in tema di protezione internazionale si sono succedute numerose dichiarazioni da parte di importanti esponenti politici nazionali che hanno duramente attaccato i magistrati”, si legge nella richiesta indirizzata al comitato di presidenza del Csm. “Applicare e interpretare le leggi di fonte nazionale e sovranazionale nei singoli casi non significa occuparsi di politiche migratorie o di altro genere – prosegue il documento – I provvedimenti attaccati, sui quali non si esprime alcuna valutazione di merito, si fondano sulle decisioni della Corte di Giustizia Europea, vincolanti per i giudici nazionali, e sulle informazioni predisposte dallo stesso ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale”. E ancora nella pratica a tutela si sottolinea: “Le ordinanze del tribunale di Roma, se non condivise, possono essere impugnate innanzi alla Corte di Cassazione, come peraltro avvenuto in un caso similare di qualche mese fa e riferito alla cauzione prevista dal cosiddetto decreto Cutro. Anche in quell’occasione vi furono significative polemiche su alcuni provvedimenti emessi dai giudici di primo grado, ma i ricorsi sono stati successivamente oggetto di rinuncia, con il consolidamento delle decisioni adottate”.

La spaccatura di Mi – Proprio nel caso del decreto Cutro il Csm si era già spaccato: già allora gli esponenti di Magistratura indipendente non avevano aderito alla richiesta di apertura della pratica a tutela nei confronti di Iolanda Apostolico, la giudice di Catania che aveva disapplicato il decreto del governo sull’immigrazione. “A me pare che Magistratura indipendente abbia perso un’occasione per prendere le distanze da certe accuse di collateralismo con questo governo che nascono dalla presenza nel governo di un autorevolissimo esponente di Magistratura indipendente come il sottosegretario Mantovano“, attacca Stefano Musolino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario di Magistratura democratica. La corrente più vicina alle posizioni di governo, infatti, ha anche criticato il caso di Marco Patarnello, il magistrato autore della contestata mail in cui citava Giorgia Meloni. “Le recenti affermazioni di un collega, che hanno avuto ampia risonanza mediatica, ci impongono una riflessione che, senza alcun intento polemico, è essenziale per la vera salvaguardia dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, di qualsiasi partito politico, non è mai un avversario da fermare o da combattere, ma un interlocutore istituzionale da rispettare. Sempre”, hanno scritto in un comunicato i vertici di Magistratura Indipendente, Loredana Miccicchè e Claudio Galoppi. In realtà, come si comprende dal testo completo della mail, Patarnello non aveva mai scritto di voler “fermare” Meloni. “Questo è un governo sovranista che non rispetta le leggi europee e punta a zittire la magistratura. Non resteremo in silenzio e difenderemo la nostra autonomia e indipendenza. Non vogliamo fare la fine di Ungheria e Polonia“, ha sostenuto Musolino, in un’intervista a La Stampa. E ancora, sul caso Albania, l’aggiunto di Reggio Calabria spiega come il ministro della Giustizia abbia sostenuto tesi non vere. “Nordio – dice Musolino – commette un grave errore, perché non considera che la norma europea è gerarchicamente superiore alla legge ordinaria, sicché questa può essere disapplicata se contrasta con la norma europea. Anzi, non solo il sistema multilivello del diritto prevede la disapplicazione, ma se il giudice non vi ottempera commette un illecito civile”.

Anm: “Non decidiamo come si attende il governo” – Sulla questione è intervenuta anche la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati. “Non può attendersi dalla magistratura che assuma decisioni ispirate dalla necessità di collaborazione con il governo di turno. Se agisse facendosi carico delle attese della politica, la magistratura tradirebbe il mandato costituzionale”, si legge in una nota. “I magistrati esprimono fondata preoccupazione quando il dileggio prende luogo della critica e il dissenso dei più alti esponenti del governo viene affidato ad accuse di pregiudizialità ideologica, di abnormità o di esondazione nella sfera riservata alla politica”, prosegue il sindacato delle toghe. Per la Giunta esecutiva centrale dell’Anm “è sorprendente che questa elementare evidenza democratica debba essere riaffermata per rispondere alle aspre e strumentali polemiche che si sono scatenate all’indomani delle ordinanze con cui la sezione specializzata del tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento di alcuni richiedenti asilo allocati nel centro sito in territorio albanese”.

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