Qualcosa non funziona nel rapporto tra il Sinodo e il Sant’Uffizio, l’attuale dicastero per la Dottrina della fede. L’oggetto del contendere è la questione-donna e più precisamente l’eventualità che una donna possa essere ordinata diaconessa.
Ma non sono chiamate in causa divergenze tra visioni diverse, in gioco è il modo con cui il prefetto del dicastero, molto legato a papa Francesco, tratta il Sinodo. Brutta bestia le assemblee, lo diceva già Cicerone: i senatori sono galantuomini ma il Senato è un “essere” a parte.
All’origine della tensione che si sta creando ci sono scelte di fondo che – a sorpresa – sono state prese dal pontefice. Già prima della seconda sessione del Sinodo, il papa ha fatto comunicare che la questione del celibato dei preti “non era sul tavolo”. Affermazione singolare, perché la rappresentanza mondiale dei vescovi e i delegati uomini e donne scelti da Francesco avevano già affrontato l’argomento nell’ottobre 2023 e si riproponevano di approfondirlo.
Comunque il papa aveva deciso e tutti si sono acconciati.
Ma la questione femminile, l’esigenza impellente di portare le donne a partecipare pienamente alla vita della Chiesa e alle istituzioni dove si prendono le decisioni, è uno dei fili conduttori del documento-base di questa seconda sessione: il cosiddetto Instrumentum laboris. C’era da aspettarsi dunque che l’intera problematica femminile – compresa il tema del diaconato – fosse liberamente discusso in aula e nei tavoli di lavoro. D’altronde il titolo del Sinodo è ispirato ad una visione ampia: “Comunione, Partecipazione, Missione”.
Invece anche in questo caso, mesi prima dei lavori sinodali, Francesco ha deciso che della questione si occupi un Gruppo di lavoro sotto la responsabilità del dicastero della Dottrina della fede. E già qui la corrente riformatrice si era inquietata, perché la prima sessione aveva votato con 277 sì e 69 no di dibattere la questione. Non di cancellarla.
Inizia tre settimane fa la seconda sessione, si presentano all’assemblea sinodale i responsabili dei gruppi di lavoro istituiti dal pontefice e il cardinale Victor Manuel Fernandez, prefetto del S.Uffizio, tiene un breve discorso generico in cui spiccano due frasi. “Conosciamo la posizione pubblica del pontefice che non considera la questione matura”, è la prima. “Resta aperta l’opportunità di un approfondimento”, è la seconda, che i più ottimisti interpretano come una finestra aperta sul dibattito. Sbagliano. Pochi giorni dopo il segretario del Sinodo cardinale Mario Grech legge in aula una comunicazione di Fernandez, che in parole povere spiega all’assemblea che il papa da tempo aveva deciso di affidare la questione del diaconato femminile al dicastero per la Dottrina della fede e che perciò si sarebbero seguite le procedure proprie del dicastero.
L’ala riformatrice legge il comunicato come una secca esautorazione del Sinodo, ma è interessante notare che anche l’ala moderata si inquieta per questo trattamento. Si mormora, si protesta, si preme sulla segreteria sinodale perché stabilisca la data di un confronto dei membri sinodali con il dicastero. Una maggioranza schiacciante lo esige. Venerdì 18 ottobre è il giorno scelto. Ma poi si scopre che il dibattito non sarà in assemblea. Ci saranno dieci “dibattitini”, tanti quanti sono i gruppi di lavoro speciali istituiti dal papa, in orari diversi, in luoghi diversi. Bisogna iscriversi. I membri sinodali ingoiano la pillola.
Il 18 ottobre un bella rappresentanza si reca all’incontro soltanto per scoprire che non c’è il prefetto cardinale Fernandez, non c’è nemmeno il segretario del dicastero, ma semplicemente due “inviati”, un uomo e una donna, totalmente privi della facoltà di interloquire realmente, ma incaricati unicamente di ascoltare e raccogliere proposte. “Una provocazione”, sibila un partecipante ai lavori sinodali.
Il tiro alla fune registra ieri mattina un nuovo episodio. Arriva in assemblea il cardinale Fernandez e comunica che il Santo Padre ritiene che la questione del diaconato femminile non è matura e per questo “ha chiesto che non ci intratteniamo su questa possibilità”. La commissione creata a suo tempo nel 2020 e di cui si erano perse le tracce “continuerà a lavorare” e, aggiunge Fernandez, le sue conclusioni parziali le “faremo pubblicare al momento opportuno”. Comunque la questione del diaconato “non risolve la questione dei milioni di donne nella Chiesa”. Ci sono altri campi di azione, che il cardinale elenca per far capire che l’ordinazione di diaconesse “non è oggi la risposta più importante”. Giovedì prossimo, preannuncia Fernandez, lui stesso si presenterà in aula. Intanto invita a fare pervenire proposte al dicastero della Dottrina della fede sul tema complessivo della partecipazione delle donne.
“Amiche e amici – conclude il porporato – sono convinto che possiamo andare avanti passo a passo e arrivare a cose concrete”. Amiche e amici? Più d’uno, più d’una in assemblea ha accolto con irritazione il discorso e lo stile. La Chiesa cattolica ha le sue forme e i suoi riti. Fernandez non parlava a una gioviale e impaziente aula universitaria, ma ai “padri e alle madri sinodali”. Per essere precisi, al consesso più alto della collegialità episcopale (tranne un concilio). Certamente sottoposto al pontefice, ma non a un dicastero della curia che gli dica su cosa “intrattenersi” o meno.
Fin dall’inizio del suo pontificato Francesco ha sottolineato che la curia deve essere al servizio non solo dei papi ma anche dei vescovi. Non è questa l’impressione che si è avuta al Sinodo. E’ iniziata ormai l’ultima settimana dei lavori. Problemi affrontati, temi esclusi, stile di trattare l’assemblea segneranno complessivamente il giudizio su questa fase autunnale del pontificato.