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Tajani incontra Netanyahu e gliene dice quattro. Magari!

Ho detto la nostra soluzione per il Libano e ho trovato orecchie attente”. Tu chiamale, se vuoi, soddisfazioni. A Gerusalemme, il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani incontra Benjamin Netanyahu e ne ottiene l’attenzione. E non che si potesse pretendere, o chiedere, qualcosa di più. Di fronte al capo del governo israeliano che tutto può e nulla ascolta, Tajani ha fatto il suo, ha fatto quello che fanno tutti: dire qualcosa.

D’altronde la “soluzione” per il Libano proposta non è che sembrasse questo arco di scienza: “Un cuscinetto Unifil con più uomini e maggior potere, più a nord truppe dell’esercito regolare libanese e più in là Hezbollah”. Un po’ di carrarmatini messi qua, un altro po’ là, tipo Risiko. Senza contare che proprio l’Unifil, ovvero le truppe Onu stanziate in Libano, poche ore prima erano state attaccate da Israele che ha “deliberatamente demolito una torre di osservazione e la recinzione perimetrale di una postazione Onu”. Israele attacca Hamas, i civili a Gaza, l’Iran, il Libano, l’Onu e l’Impero romano (se potesse).

“Nell’incontro con il primo ministro Netanyahu ho ribadito la ferma condanna per l’attacco alla missione Unifil”, ha però affermato categorico Tajani, salvo poi aggiungere un secondo dopo, senza nemmeno prendere fiato: “Ho assicurato il sostegno dell’Italia al diritto di Israele di difendersi”. Ma come!? Israele attacca le truppe Onu, quindi anche noi, e noi lo sosteniamo nel suo diritto a difendersi? Difendersi da chi? Dall’Onu? Da noi che lo sosteniamo?

A Gerusalemme Tajani ha incontrato anche il collega Katz, ministro degli Esteri israeliano, proseguendo la sua lectio magistralis sull’antica arte italiana dell’ ‘un colpo al cerchio e uno alla botte‘. Così recita testuale la nota Ansa a conclusione dell’incontro: “Per Tajani la scomparsa di Sinwar (leader di Hamas, ndr) rappresenta un possibile punto di svolta. A Katz il ministro Tajani ha confermato che il governo italiano sarà sempre impegnato contro ogni delegittimazione dello Stato di Israele, alle Nazioni Unite e in particolare all’Assemblea generale Onu”.

Il fatto è che al di là della ripetuta e confermata e ribadita e ripetuta ancora difesa di Israele da chi si azzarda a delegittimarne le azioni, Tajani il punto della faccenda lo avrebbe pure centrato. Ora che Sinwar è morto, ora che “l’architetto” e l’artefice dell’attacco del 7 ottobre ha pagato con la vita, ora che Hamas ha perso la sua testa a Gaza, potremmo piantarla co ‘sta guerra? Questa sì che sarebbe la soluzione per il Libano e per tutto il resto; “un possibile punto di svolta” per dirla in prostratissimo diplomatichese.

È passato più di un anno dal 7 ottobre, quando Hamas attaccò i kibbutz uccidendo 1200 israeliani e rapendone 250. Da allora sono morti oltre 42.000 palestinesi, di cui la gran parte civili, e sono più di 2.100.000 gli sfollati. La guerra non ha restituito pace e serenità al popolo israeliano; non ha sconfitto Hamas, né Hezbollah e né i Pasdaran, che rafforzano il loro ruolo di giusti agli occhi di milioni di civili sotto le bombe israeliane; non ha dato stabilità al Medioriente, balzato indietro di 60 anni; non ha rafforzato la diplomazia, che al massimo ottiene “orecchie attente” dall’alleato israeliano difeso nell’indifendibile.

È un conflitto spaventoso, buono solo al primo ministro israeliano per impugnare e giustificare nello stato di guerra una leadership barcollante prima del 7 ottobre.

Ma tutto questo noi italiani, il nostro governo, non lo possiamo mica dire alle orecchie attente di Netanyahu. Che poi, a dirla tutta, con Netanyahu non dovremmo neanche parlarci; come non si parla con un uomo per il quale la Corte penale internazionale ha richiesto un mandato d’arresto per crimini di guerra.