A onor del vero, quando nell’agosto del 2018 l’Amministratore Delegato Marco Piuri ha preso in mano le redini di Trenord, l’azienda era già in cattive acque. Da allora le cose sono andate sempre peggio. Ora lascerà l’incarico non per gli scarsi risultati ottenuti come sarebbe logico, ma per far posto ad un dirigente di Fratelli d’Italia che da tempo scalpitava.

L’Ad è un formigoniano di Comunione e Liberazione che nel 2009, da direttore delle sole Ferrovie Nord, aveva sostenuto il progetto regionale del matrimonio con le Ferrovie dello Stato, lanciato dall’allora presidente lombardo Formigoni. In pratica l’unificazione dei due monopoli pubblici, che doveva essere la base del federalismo ferroviario (approvata con favore da tutti i partiti, da tutti i sindacati, dagli stessi comitati pendolari, esclusa la Cisl), si è rivelata un costosissimo fallimento. La fusione ha causato molte disfunzioni operative e problemi sui quali si potrebbe scrivere un libro. Incontabili le ore perse dei pendolari. Dopo l’affidamento dei servizi decennale senza gara a Trenord da parte della Regione, i disservizi non potranno che continuare in peggio già nel 2025. Due “zoppi” insieme zoppicano ancor di più.

Fin dalla sua nascita nel 2011, Trenord non ha dato gli esiti annunciati pomposamente dal presidente Roberto Formigoni. Maggiore puntualità, più comfort, pace sindacale, più sicurezza e massima manutenzione dei mezzi sono rimaste sulla carta. La scelta federalista fin da subito non ha dato gli esiti tanto sbandierati. Ancora oggi nonostante 1,7 miliardi spesi per l’arrivo di 217 nuovi treni, Trenord è al collasso ed è senza l’alibi di gestire una vecchia flotta di treni, mostrando una gestione peggiore di quella di Trenitalia nelle altre regioni.

Basti pensare che la puntualità nel 2019 è stata dell’84,4%, mentre nelle altre regioni si è raggiunto il 90% (tutte percentuali nettamente inferiori a quelle del nord Europa). Entrambe le aziende operano sulla rete malgestita da Rfi, ma ciò non basta per giustificare la maggiore inefficienza di Trenord. Se la rete di Rfi, pur facendo parte del gruppo Fs, è separata da Trenitalia nel rispetto delle normative europee, Trenord non lo è. Infatti – unico caso in Europa – Marco Piuri sarebbe incompatibile visto che è al tempo stesso l’Ad di Trenord e il direttore generale di Fnm (il gestore dei 300 km di rete lombarda) dal dicembre 2018.

Essere la regione ferroviaria più importante d’Italia per lunghezza della rete (1.800 km, 150 km di Rfi e 300 di Fnm) e per numero di treni non è bastato per raggiungere l’efficienza necessaria e per rispondere alle esigenze dei pendolari lombardi, che se avessero avuto un servizio migliore avrebbero scelto il treno per andare al lavoro abbandonando l’automobile. Tutto ciò nonostante i sussidi pubblici a Trenord siano cresciuti, sia in termini assoluti che in termini percentuali rispetto alle altre regioni. Più spesa non sempre corrisponde a più efficienza, in particolare quando si fondono due aziende con caratteristiche operative diverse.

Consociativismo, scandali (uno per tutti gli straordinari pagati e non fatti ai macchinisti), la scelta dei manager sulla base dell’appartenenza politica hanno prodotto incapacità gestionale e poca responsabilità verso la troppo vituperata categoria dei pendolari. Trenord oggi sembra più uno strumento di consenso che una società di servizi pubblici.

Costi di gestione di 20 euro a km/treno, quasi doppi rispetto alla media nazionale dei treni locali che è di 13 euro a km/treno. Esternalizzazioni di attività, acquisti di beni e servizi effettuati superficialmente, digitalizzazione e introduzione di nuove tecnologie al rallentatore, più un organigramma aziendale in continuo mutamento, sono alla base delle modeste performance. L’esempio emblematico è il sistema innovativo di programmazione dei turni di lavoro (Gol Rail) che sarebbe dovuto partire nel 2012. Non è ancora oggi adottato visto che continua ad essere oggetto di “conflitto” tra azienda e sindacati. Un conflitto che si trascina da tempo, evidenziando un’azienda gestita da dilettanti. Lo stesso proprietario è il programmatore, pagatore e gestore dei servizi, cioè la regione Lombardia, ed è a sua volta responsabile di tale logorante debacle che i 24 comitati pendolari (più di uno per linea) della nostra Regione stanno denunciando da ormai troppo tempo.

In certi periodi vengono soppressi anche 250 treni al giorno per l’assenza di una efficace gestione industriale, che non riesce neppure a reperire i pezzi di ricambio per le officine di manutenzione. In queste condizioni è impossibile offrire un servizio ferroviario secondo i bisogni della Regione più ricca e popolosa, con l’aria più inquinata d’Italia.

Adesso la politica regionale e milanese sta pensando di risolvere la crisi di Trenord con un’altra fusione, quella con la malandata Atm in preda ad una crisi tecnico-finanziaria. Mirabolanti obiettivi non bastano per sottrarre dall’inefficienza sistemi garantiti da enormi volumi di risorse pubbliche, a prescindere dai risultati (per i cittadini e per l’ambiente) ottenuti.

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