Ambiente & Veleni

Deposito su cauzione, la direttiva Ue sul monouso lo impone. Ma per le lobby italiane del riciclo a tutti i costi è un vuoto a perdere

La strada per l’arrivo in Italia di un sistema di deposito su cauzione (Deposit return system) per i contenitori di bevande è tutt’altro che spianata. Eppure il dado è tratto. L’obbligo di introduzione di un Drs è imposto dalla direttiva Ue sul monouso (la Single Use Plastic, già recepita in Italia) per quanto riguarda le bottiglie per bevande in Pet e sarà esteso ai contenitori per bevande in metallo, come previsto dal Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (Ppwr), che dovrebbe concludere il suo iter con il voto in Consiglio europeo a metà dicembre. Funziona così: il consumatore acquista una bevanda e paga, per il contenitore, una cauzione che viene aggiunta al prezzo del prodotto e viene restituita quando riporta l’imballaggio al rivenditore. Sedici gli Stati europei che lo utilizzano, mentre altri dieci lo hanno previsto. In Italia non tutti sono convinti che sia la strada giusta nel Paese che ha investito tanto sul riciclo. Dubbi emersi nel corso del convegno organizzato dal vicepresidente della Camera, Sergio Costa proprio per aprire un dialogo tra le parti e al quale hanno partecipato, tra gli altri, la coalizione ‘A buon rendere’, il ministero dell’Ambiente, Anci, Ispra, Conai, Corepla, Coripet e Assobibe. Valgano le parole di Simona Fontana, direttrice generale del Consorzio nazionale imballaggi (Conai): “Ha senso cambiare una casa vecchia per una nuova, e a spese di chi, per seguire la moda del momento?”. Diversi operatori preferirebbero una sperimentazionemirata”. Una perdita di tempo, secondo la coalizione ‘A buon rendere’. L’ex ministro Costa vorrebbe arrivare a un testo condiviso che diventi una proposta di legge. Di fatto, tra Sup e regolamento imballaggi, i Paesi membri dovranno arrivare a 77% della raccolta di lattine e bottiglie in plastica entro il 2025 e al 90% entro il 2029, ma saranno anche obbligati a istituire un Drs nel caso in cui non venisse raggiunto tale obiettivo nei tre anni precedenti. C’è un’esenzione per gli Stati che, entro il 2026, riusciranno a raggiungere un tasso di raccolta dell’80% per bottiglie e lattine. Resta, però, l’obbligo del 90% come obiettivo finale. Target che, secondo Giovanni Albetti, direttore generale di Coripet, consorzio volontario per il riciclo del Pet “non raggiungeremo mai, così come siamo. Dobbiamo cambiare”.

I numeri che non tornano – Secondo i dati Conai, il tasso di intercettazione delle bottiglie in pet di bevande nel 2022 è stato del 67% per cento “comprensivo di raccolta differenziata selettiva e tradizionale” misurata a monte dei centri di selezione e stoccaggio. E qui c’è il primo problema: si può considerare ‘intercettato’ ciò che arriva agli impianti di selezione ma che da questi viene scartato? “A quel 67% bisognerebbe sottrarre gli scarti degli impianti di selezione, come fa Coripet che sta usando un’altra metodologia, calcolando la percentuale a valle dell’impianto, con una differenza di circa 12 punti percentuali” spiega a ilfattoquotidiano.it Enzo Favoino, coordinatore scientifico della campagna ‘A buon rendere’, secondo cui “il calcolo a monte rischia di gonfiare i dati. Tanto che la Commissione Ue – aggiunge – ha già annunciato controlli più rigidi, anche dopo quanto accaduto in Spagna”. Uno studio di Eunomia, commissionato da Zero Waste Europe e dalla spagnola Zero Waste Alliance, ha rivelato una discrepanza notevole nei dati sulle bottiglie di plastica. “Il tasso effettivo di differenziata – racconta Favoino – risulta di appena il 36%, ben al di sotto del 71% dichiarato da Ecoembes. Con il deposito cauzionale – che in Italia andrebbe ad affiancare e non sostituire i sistemi di raccolta e riciclo – in genere si arriva abbondantemente oltre il 90% di intercettazioni dei materiali coperti dal Drs”, mentre “nessun Paese è mai arrivato a questa percentuale senza introdurre un sistema di deposito su cauzione”.

Vantaggi e costi di gestione – Tra i benefici diretti e indiretti stimati, oltre all’aumento dei tassi di raccolta e riciclo, anche la disponibilità di materiali per riciclo di elevata qualità a ciclo chiuso (da bottiglia a bottiglia). “Gran parte del pet e dell’alluminio oggi vanno a finire in altri settori – spiega Favoino – come i filati della fast fashion. Ed è per questo che chi deve produrre bottiglie e lattine tende ad essere favorevole al Drs, per mettere le mani su flussi ora riservati ad altri settori”. Lo stesso direttore generale di Coripet ricorda che c’è un problema industriale: “Si riesce a fare materia prima seconda di alta qualità e riciclare più volte solo se vai a creare delle raccolte selettive di quel materiale”. Il Drs porterebbe, poi, una riduzione di gas serra con un vantaggio economico di 64,2 milioni di euro, a cui vanno aggiunti 3,8 milioni di euro dovuti alla riduzione del littering, l’abbandono dei rifiuti, flagello dei Comuni. “Nel Regno Unito si stima un risparmio di 170 milioni di euro – ricorda Favoino – mentre in Germania di 450 milioni di euro”. Tra i benefici, anche la riduzione degli importi che lo Stato versa all’Ue per la plastix tax, pagata da tutti i cittadini, oggi a circa 800 milioni di euro per un milione di tonnellate di plastica che non si riesce a riciclare. Ma quanto costano i Drs? Secondo la coalizione, negli ultimi anni sono state divulgati numeri con alcune voci di costo sovrastimate. Alla Camera, Favoino ha illustrato le stime a cui si è giunti attraverso studi analitici: i costi di gestione (641 milioni di euro) sarebbero coperti dai ricavi della vendita dei materiali (232 milioni), dai depositi non riscossi (328 milioni di euro) e dal contributo Epr (responsabilità estesa del produttore) per circa 81 milioni di euro, da 0,2 a 1,3 centesimi per contenitore di plastica. “In questo schema – spiega Favoino – lo Stato non compare mai come finanziatore del sistema, che si autosostiene, mentre noi stiamo finanziando altri tipi di approccio che vanno nella giusta direzione, come i sistemi incentivanti, le macchine mangiaplastica e gli ecocompattatori che, però, senza il deposito cauzionale non ci faranno mai raggiungere i target Ue”.

Tra dubbi sul Dsr e necessità di cambiare – Nel corso del convegno Laura D’Aprile, Capo dipartimento sviluppo sostenibile del ministero dell’Ambiente e il segretario generale dell’Anci Veronica Nicotra, hanno posto il problema delle emissioni derivanti dal trasporto da un’unità logistica a un’altra e dell’attuale infrastrutturazione impiantistica, ancora frammentata nel centro sud. Per entrambe, nel caso dell’Italia sarebbe più opportuno “arrivare preparati agli obblighi del 2029 con una sperimentazione da fare in aree mirate”. Secondo la direttrice del Conai, Simona Fontana, con un’intercettazione del 70% per le bottiglie in PET al 2022, “l’Italia non avrà problemi nel raggiungere obiettivi della Direttiva Sup del 75% al 2025, per poi alzare l’asticella”. E poi sottolinea che le bottiglie in pet di cui si parla sono “poco meno del 20% del totale degli imballaggi in plastica immessi al consumo in un anno in Italia”. Per il Conai, mancano all’appello “70mila tonnellate”. Da qui i dubbi sull’opportunità di introdurre un nuovo sistema, lasciando la strada che ha consentito all’Italia di arrivare agli attuali tassi di differenziata e riciclo. Ne vale la pena? Certamente no, per Giovanni Bellomi, direttore generale di Corepla: “Il Drs potrebbe essere una soluzione, ma una serie di caratteristiche dell’Italia (turismo, dati sulla raccolta, investimenti fatti finora, ndr), non la rendono la soluzione più adatta. Andrebbe a inficiare – sostiene – tutti gli investimenti degli ultimi 25 anni”. Secondo Corepla, su 18 miliardi di bottiglie immesse al consumo, l’86% di quelle che non si riescono a intercettare è rappresentato dai piccoli formati, su cui bisogna concentrarsi, ma per la coalizione ‘A buon rendere’ è un’illusione “pensare di recuperare 8 miliardi di bottigliette, immaginando che, senza un forte incentivo, le persone portino con sé i contenitori consumati “on the go” per poi conferirli nella differenziata di casa, o negli eco-compattatori”. Di fatto, per il direttore generale di Coripet, Giovanni Albetti “nel 2025 arriveremo se siamo bravi al 74% di intercettazione, forse al 77, ma mai al 90% così come siamo. Dobbiamo decidere”. Proprio Coripet, d’altronde, ha installato 1500 eco-compattatori in tutta Italia, la più grande sperimentazione nazionale: “Ed è una sconfitta per noi ammettere che gli eco-compattatori non bastano per raggiungere l’obiettivo del 2025, ma è così. C’è bisogno di accelerare verso un vero cambiamento che, come tutti i cambiamenti porta con sé rischi, vantaggi, svantaggi e investimenti da fare”.