È partito in Francia il processo per la morte di una bimba, riconosciuta come prima vittima dei pesticidi. Il caso riguarda il settore floricoltura, ma potrebbe aprire la strada ad altri processi simili. Soprattutto, accende i riflettori su un settore che può avere un impatto per l’ambiente. I fiori ornamentali non si mangiano, ma si manipolano, si toccano e si annusano. Per i floricoltori, il contatto è quotidiano, diretto e prolungato e quindi il rischio di contaminazioni da residui di pesticidi alto. Così, giorno dopo giorno, l’ex fiorista francese Laura Marivain ha esposto inconsapevolmente il proprio feto a questi inquinanti. E quando la figlia undicenne è morta di leucemia, dopo sette anni di sofferenze, non si è rassegnata all’idea della fatalità e si è rivolta a Phyto-Victimes, associazione francese che assiste i professionisti vittime di pesticidi, riuscendo a far riconoscere il nesso causale tra l’esposizione nel periodo prenatale e la morte della piccola.

La mela di Biancaneve – Proprio come la mela della fiaba, i fiori recisi sono belli fuori, ma con la sorpresa dentro. “L’esposizione dei fioristi apparve un esempio di situazione professionale unica, in cui i lavoratori sono sottoposti regolarmente sia a un elevato numero di sostanze chimiche tossiche sia a livelli di concentrazione abbastanza alti”, concludeva uno studio del 2017, pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health, che misurò i residui sui guanti di cotone dei lavoratori che manipolavano fiori per 2-3 ore al giorno. Quanti residui di pesticidi si possano trovare su fiori e mani degli operatori ce lo dice, tra gli altri, uno studio belga del 2019: oltre 100 di diversi prodotti, tra cui alcuni vietati in Europa – più i residui di 70 nelle urine dei lavoratori.

Le conseguenze? Sono sintetizzate in una review del 2021 pubblicata su Environmental Pollution: gli studiosi spiegano che tra gli operatori del settore e i residenti delle aree di produzione si sono riscontrati scarso sviluppo neuro-comportamentale, disturbi riproduttivi, malformazioni congenite e genotossicità. Quanto all’impatto ambientale, questo è collegato alla “contaminazione di aria e acqua, alla degradazione del suolo e a effetti avversi sulla riproduzione e sviluppo di organismi non bersaglio”, quelli cioè verso cui non è diretta l’azione dei pesticidi.

Tuttavia, i problemi non riguardano solo i fiori recisi, ma pure quelli ornamentali in genere, perfino se destinati ad attirare le api. “I nostri risultati mostrano per la prima volta la distribuzione di residui di pesticidi tra fiori, foglie, radici e terreno di piante ornamentali”, si legge in uno studio pubblicato a marzo su Environmental Pollution. “Mostriamo anche che tutte le piante ornamentali analizzate contenevano almeno un pesticida, e che alcuni campioni contenevano fino a 19 sostanze diverse”.

Un problema globale – “La maggior parte delle rose recise proviene dalla così detta sun belt, paesi come Kenya, Tanzania, Uganda ed Ecuador. Lì la produzione avviene in sfregio al rispetto dell’ambiente e delle persone, non ci sono tutele né protezioni”, denuncia il dottor Enrico Leva, agronomo specializzato in florovivaismo e giudice del concorso nazionale Comuni Fioriti, che punta a promuovere la protezione ambientale. “Ci sono perfino casi di inquinamento da concimi di interi laghi”.

Poi questi fiori – rose, ma anche garofani – dopo aver fatto danni nei luoghi di produzione arrivano in Europa in aereo, causando ulteriore inquinamento. E qui giunti, pur contenendo residui di pesticidi anche vietati nella Ue, superano la frontiera. “Non sono una coltivazione alimentare e non ci sono limiti di legge per i residui dei pesticidi, quindi non ci sono controlli”. E questo nonostante la Ue abbia norme ben precise che regolano l’uso e l’acquisto dei pesticidi. “Il problema è soprattutto l’origine del prodotto. Il castello normativo della Ue è da estendere altrove con le sue buone pratiche per la tutela dei lavoratori e dell’ambiente”. Servirebbe poi più attenzione sui luoghi di lavoro anche europei, visto che qui già esistono norme di protezione per cui “gli operatori devono essere ‘formati, informati e addestrati’, dotati di dispositivi di protezione come guanti e mascherine per evitare contatto diretto e inalazione”, specifica Leva. Per l’esperto “sono da sconsigliare gli acquisti di fiori recisi dagli ambulanti in quanto provengono dalle zone in cui non c’è il rispetto per i lavoratori e per l’ambiente, e in più sono venduti in nero”.

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