Nelle sue viscere, dicono i servizi, ospiterebbe un caveau con mezzo miliardo di dollari in oro e contanti. Per questo le Israel Defense Forces hanno messo nel mirino l’ospedale Al Sahel, nel sud di Beirut. Lunedì è stato evacuato, da giorni viene fatto visitare ai giornalisti occidentali per smentire le accuse e oggi Tel Aviv ha assicurato: “Non lo colpiremo, ma facciamo appello al governo e alle organizzazioni internazionali affinché sia restituito ai libanesi ciò che gli è stato rubato. Non permetteremo a Hezbollah di usare questo denaro per scopi terroristici”. Sono le risorse finanziarie del Partito di Dio il nuovo obiettivo della guerra di Israele in Libano. Paese che venerdì, a meno di sorprese, sarà inserito nella “lista grigia” del Gruppo d’azione finanziaria internazionale (Gafi), organismo creato nel 1989 in seno al G7 per contrastare il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.

Per i servizi di Tel Aviv, Hezbollah riceve un miliardo di dollari l’anno soltanto dall’Iran. Lo farebbe attraverso 3 canali principali. Tramite la Forza Quds, il braccio armato dei Guardiani della rivoluzione, Teheran trasferisce petrolio e contante in Siria. Qui il greggio viene venduto alle compagnie locali, tra cui la BS Company legata secondo il Dipartimento del tesoro Usa al Katerji Group, più volte sottoposto a sanzioni e il cui proprietario, Muhammad Baraa Katerji, è stato ucciso in un raid il 15 luglio: i proventi della vendita vengono quindi trasferiti cash in Libano. Teheran, poi, sposta direttamente nel Paese grandi quantità di contante frutto del commercio di petrolio della Forza Quds. Il Partito di Dio, infine, esporta gas in Siria e investe in Yemen e Turchia. A coordinare le operazioni era stato fino al 1° ottobre, giorno in cui è stato “eliminato”, Muhammad Jafar Kasir, per 15 anni capo dell'”Unità 4400″ incaricata delle forniture di armamenti, considerato da Israele capo dell’ufficio finanziario del gruppo e “pedina più importante nell’asse terroristico Iran-Hezbollah-Siria”.

L’altra grande fonte di finanziamento del gruppo è Al-Qadr al-Hassan. La cosiddetta “banca di Hezbollah” è un istituto di credito informale nel quale tra i 200mila e i 300mila libanesi hanno aperto conti correnti e che garantisce l’erogazione di micro-finanziamenti in dollari da restituire senza interessi: un’ancora di salvezza per cittadini e piccole imprese che dall’inizio della crisi scoppiata nel 2019 si sono visti sempre più spesso negare prestiti dalle banche. Uno strumento con il quale il Partito di Dio ha conquistato la fiducia di ampi strati della popolazione. Grazie ad Al Qadr al-Hassan negli ultimi anni Hezbollah si è dimostrato un datore di lavoro stabile pagando i dipendenti in dollari, mentre la lira libanese ha perso gran parte del suo valore, e diventando uno degli operatori economici più accreditati del paese. Motivo per il quale Israele nelle ultime ore ha colpito diverse sedi dell’istituto: l’obiettivo è intaccare la stabilità economica del gruppo – nei suoi caveau finirebbero i proventi dei traffici con l’Iran -, ma soprattutto la considerazione di cui gode presso l’opinione pubblica.

Gli stessi effetti potrebbe avere l’ufficializzazione della decisione che il Gafi, o Financial Action Task Force, ha nei fatti già preso. Venerdì, riporta Reuters, a meno di improbabili rinvii la plenaria del Taft di Parigi inserirà il Libano nella “lista grigia” dei paesi sottoposti a “controllo speciale” in tema di reati finanziari. Quattro fonti hanno spiegato all’agenzia che a Beirut verrà concessa una proroga per lavorare su alcune delle riforme richieste dal Fondo monetario internazionale nel 2022, ma che la decisione è “definitiva“. E una delle motivazioni riguarda il Partito di Dio: “Il Libano dovrebbe valutare i rischi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo associati a una grande organizzazione paramilitare locale e garantire che tali rischi siano mitigati”, si legge nell’ultimo rapporto sul paese pubblicato a dicembre 2023. La “grande organizzazione paramilitare” che nel report ricorre per 20 volte è appunto Hezbollah, che non viene nominata direttamente perché tra i paesi della Fatf, di cui Israele è membro dal 2018, non c’è unanimità sulla natura terroristica del gruppo.

In un report del maggio 2023 il paese aveva ricevuto una valutazione preliminare che annunciava il provvedimento, quindi gli era stato concesso un anno per colmare le lacune in alcuni settori come le misure antiriciclaggio, la trasparenza sulla titolarità effettiva delle imprese e l’assistenza legale nel congelamento e nella confisca dei beni. Il Libano non sembra aver fatto quanto richiesto e l’inserimento nella lista grigia rischierebbe di danneggiare la reputazione, modificare il rating, creare difficoltà a ottenere finanziamenti e aumentare i costi di transazione in un paese fiaccato, oltre che dalla crisi, anche da 10 mesi di guerra. L’obiettivo di alcuni Stati membri, invece, è indurre Beirut a intervenire proprio su Al-Qadr al-Hassan, sotto sanzioni Usa fin dal 2007, per interrompere i flussi di denaro dall’Iran verso Hezbollah.

La Financial Action Task Force è divisa: la decisione sarebbe dovuta arrivare già nel 2023, ma poi si è optato per il rinvio. Ora l’unica possibilità per Beirut di evitare la lista grigia è che a Parigi venga presa in considerazione la situazione della sicurezza: la plenaria potrebbe decidere per una sospensione a causa della guerra. “Ma il paese è già virtualmente nella lista grigia, che il FATF lo formalizzi ora o a febbraio”, ha spiegato al quotidiano L’Orient-Le Jour Walid Kadri, membro del consiglio della Lebanese Capital Markets Authority.

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