Come si fa a velocizzare i tempi della giustizia? “Con una forte depenalizzazione e quindi una riduzione dei reati”. Ne era sicuro Carlo Nordio, solo pochi minuti dopo aver giurato da guardasigilli. Un’affermazione che aveva provocato curiosità negli addetti ai lavori. In campagna elettorale né Fratelli d’Italia, il partito che ha eletto Nordio in Parlamento, né le altre forze della maggioranza avevano annunciato un’organica riduzione dei reati. E infatti si sono perse le tracce di qualsiasi forma di depenalizzazione. Dopo due anni trascorsi al governo del Paese si può dire che Nordio parlava a titolo personale. E che evidentemente le sue idee sulla giustizia non sono tutte condivise all’interno del Governo. Finora, infatti, l’esecutivo e il Parlamento hanno seguito una linea opposta rispetto a quella anticipata dal guardasigilli: invece di cancellare i reati più inutili ne hanno creato almeno sei nuovi, aggravandone altri. Di fattispecie abolite, invece, al momento se ne registra soprattutto una: l’abuso d’ufficio, non esattamente il principale colpevole dell’ingolfamento delle aule di tribunale.

Pugno di ferro e guanto di velluto – Nel 2021, su circa un milione di procedimenti, erano appena cinquemila quelli finiti davanti ai gip e ai gup per abuso d’ufficio. Un reato elitario, previsto da tutti i Paese Ue, che però aveva il torto di far finire nei guai politici e amministratori pubblici. È questo il comune denominatore dell’attività di questo Governo sul fronte della giustizia: è stato indebolito il sistema di prevenzione per alcuni reati che sono spesso contestati agli esponenti della classe politica, ai grandi imprenditori e ai top manager. In ventiquattro mesi i provvedimenti per colpire le condotte dei cosiddetti colletti bianchi sembrano scritti usando il guanto di velluto. Nel frattempo, invece, è stato usato il pugno di ferro con le fasce più deboli della popolazione: i manifestanti, i piccoli delinquenti, chi ha il torto di essere nato nelle zone più complesse del Paese. Su questo fronte va sottolineato un aspetto: finora il governo Meloni ha tenuto il punto sul fronte della lotta alla mafia, a cominciare dalla norma che ha messo in sicurezza l’ergastolo ostativo. Diverso, invece, l’atteggiamento nei confronti di quei soggetti che rappresentano i complici principali di Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra. E che spesso garantiscono l’impunità alle stesse organizzazioni criminali. Ma andiamo con ordine.

Migranti e Rave – Il primo reato ideato dal Governo di Giorgia Meloni arriva subito, solo poche settimane dopo l’insediamento. Nel dicembre del 2022, infatti, l’esecutivo ha varato il cosiddetto decreto Rave per punire i raduni musicali abusivi: da tre a sei anni per chi “organizza o promuove l’invasione di terreni o edifici”. Poi è arrivato il decreto Cutro, battezzato come la città calabrese teatro dell’ultima strage di migranti: per combattere gli scafisti, il Governo aveva inventato la fattispecie di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” con pene comprese tra i 10 e i 30 anni di carcere. Il provvedimento imponeva in origine pure una cauzione da cinquemila euro che doveva essere garantita dai richiedenti asilo: un po’ complesso disporre di una cifra simile per chi è arrivato sulle nostre coste con un barcone. Anche per questo motivo il decreto era stato disapplicato dal giudice di Catania Iolanda Apostolico, facendo scoppiare uno scontro clamoroso tra il Governo e la magistratura. Sarebbe stato il primo di una serie ancora aperta.

Punire la miseria – Non era arrivata alcuna contestazione per il decreto Caivano, chiamato come l’omonimo comune del Napoletano diventato tristemente noto per le “stese”, cioè le minacce compiute sparando in aria dalle baby gang legate ai clan di Camorra. Per punire queste condotte è entrato nel codice il reato di “pubblica intimidazione con uso d’armi”: si rischia fino a otto anni. Lo stesso provvedimento ha poi inasprito le sanzioni per chi non manda i figli a scuola: prima si rischiava una multa, adesso fino a due anni di galera. Sono stati approvati quasi all’unanimità da Parlamento – su proposta di esponenti di Fdi – le nuove fattispecie di “omicidio nautico” e di “lesioni personali nautiche gravi o gravissime”.

La fabbrica dei reati – È stato per il momento approvato solo alla Camera, invece, il ddl Sicurezza, che è praticamente una fabbrica di nuovi reati: punisce – fino a sette anni di carcere – “l’occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, una condotta praticamente già sanzionata da altri articoli del codice (e pure dal dl Rave). Tra le new entry anche la detenzione di materiale con finalità di terrorismo: rischi fino a sei anni se scarichi da internet un manuale sulla fabbricazione di bombe molotov. Viene trasformato da illecito amministrativo a penale il blocco stradale: prima si rischiava una multa fino a quattromila euro, ora fino a due anni di galera. L’hanno ribattezzata legge anti Ghandi: per finire in carcere basta partecipare a una protesta pacifica che blocca il traffico. Una modifica che sembra stata varata gli attivisti di Ultima generazione. Gli ambientalisti sono l’obiettivo anche della stretta per il reato di deturpamento e imbrattamento di beni pubblici: pene triplicate (fino a 18 mesi di reclusione e tremila euro di multa) se si colpiscono palazzi che ospitano sedi istituzionali. Aumentate anche la sanzioni per i danneggiamenti (fino a cinque anni di carcere e 15mila euro) e quelle per chi minaccia un pubblico ufficiale per “impedire la realizzazione di un’opera pubblica”: sono le condotte tipiche dei manifestanti anti Tav o anti Ponte sullo Stretto, che avranno pene aumentate fino a un terzo (fino a vent’anni di carcere). Altro nuovo reato è la rivolta all’interno dell’istituto penitenziario: chi si ribella può avere la condanna allungata anche di otto anni. Stesso principio varrà dentro i centri di accoglienza per migranti. Pene aumentate anche per chi sfrutta i minori, inviandoli a chiedere l’elemosina, mentre si potranno tenere in carcere anche le donne incinte e le madri con figli neonati: norma che sembra studiata per colpire il fenomeno delle borseggiatrici nelle metro. Sicuramente un problema, ma non esattamente un’emergenza tale da meritare una condotta ad hoc.

Vietato arrestare corrotti – Sono invece ancora liberi gli esponenti di un gruppo di presunti spacciatori, che – come ha raccontato Il Fatto Quotidiano – hanno potuto comodamente leggere le accuse ai loro danni dall’ordinanza di custodia cautelare. Dopo aver appreso dalle carte pure il nome del soggetto che li aveva denunciati, sono andati a minacciarlo. È solo uno degli effetti nefasti del ddl firmato da Nordio. Mentre Parlamento e Governo producevano nuovi reati, infatti, il ministro è riuscito a fare approvare la sua riforma della giustizia penale, che ha dedicato a Silvio Berlusconi. Omaggio azzeccato. Tra le altre cose, la norma rende più difficile l’arresto delle persone accusate di reati contro la pubblica amministrazione. In pratica quando la richiesta di misura cautelare è motivata dal pericolo di reiterazione del reato, il gip deve emettere un “avviso di arresto”. L’hanno chiamato “contraddittorio preventivo: l’indagato deve essere interrogato, poi sarà il giudice a decidere se arrestarlo o lasciarlo a piede libero. Solo che nelle legge si sono dimenticati d’inserire dei limiti precisi entro i quali deve esprimersi il tribunale. E infatti Cristian Goracci, amministratore della società dei rifiuti dell’Umbria, ha atteso per giorni di conoscere il suo futuro, dopo essere stato interrogato in un’inchiesta per corruzione della procura di Perugia.

Spacciatori liberi – Ma quello non è l’unico buco della riforma. Visto che la reiterazione del reato è la motivazione usata spesso dai pm per chiedere di arrestare i presunti spacciatori di droga, infatti, dell’avviso di arresto stanno beneficiando anche numerosi pusher. È successo a Napoli, mentre a Milano ne hanno beneficiato alcuni narcos coinvolti in un’inchiesta sulla ‘ndrangheta in Lombardia. A Palermo, invece, alcuni ladri specializzati in furto di automobili dovevano essere arrestati a fine settembre: grazie a Nordio sono rimasti in libertà e saranno interrogati soltanto a fine ottobre, dato che nel capoluogo siciliano ci sono pochi giudici e troppi procedimenti. A questo proposito va capito cosa succederà tra due anni, quando a decidere sulle misure cautelari non sarà più un solo giudice per le indagini preliminari, ma ben tre. Considerando che il gip non può più occuparsi delle successive fasi del procedimento, la riforma Nordio rischia di paralizzare gli uffici più piccoli. Ecco perché l’entrata in vigore di questa modifica è stata prorogata al 2026: il tempo, però, scorre.

Traffico d’influenze? Solo cash – L’arresto dei colletti bianchi sarà ancora più difficile quando il Governo dovrà dare seguito all’Ordine del giorno depositato da Enrico Costa e poi approvato dalla maggioranza: per tutta una serie di reati la misura cautelare per pericolo di reiterazione non si potrà applicare alle persone incensurate. Chi non ha precedenti si potrà arrestare solo se accusato di mafia, terrorismo, furto. Liberi invece gli incensurati sospettati di corruzione o la concussione. La riforma Nordio depotenzia anche un altro reato tipico delle classi dirigenti, il traffico d’influenze illecite: per essere punibile il mediatore dovrà sfruttare “intenzionalmente” le relazioni con il pubblico ufficiale, che dovranno essere “esistenti” e non più solo “asserite“: niente rapporti solo millantati. In più l’eventuale utilità data o promessa dovrà essere “economica“: non basteranno i favori diversi da quelli monetizzabili. Solo contanti col Governo Meloni, ma questo si sapeva: tra i primi atti della nuova maggioranza, infatti, c’è anche l’innalzamento a cinquemila euro del tetto al denaro contante.

Bavagli e omissis – Molto corposo anche il capitolo dei bavagli: è già in vigore (e ha già fatto molteplici danni) quello introdotto da Marta Cartabia, che silenzia le fonti giudiziarie con la scusa della presunzione d’innocenza europea, Il centrodestra si è subito messo in pari col Governo di Mario Draghi, approvando quello proposto dal solito Costa sulla pubblicazione delle ordinanze cautelari da parte dei giornali. Una stretta che gli esponenti di Fdi vorrebbero addirittura potenziare. Solo per fare un esempio: se il bavaglio Costa fosse stato già approvato, avremmo saputo davvero poco dell’indagine anti corruzione che ha portato all’arresto dell’ex governatore della Liguria Giovanni Toti. Già approvato con la riforma di Nordio, invece, il divieto di pubblicazione delle intercettazioni contenute nelle richieste delle procure o nelle informative. Sarà omissato, inoltre, il nome di terze persone non coinvolte nelle indagini, ma citate nelle conversazioni registrate. L’indagato nell’inchiesta sulle presunte tangenti Anas parlava al telefono di un “accordo fatto con quelli della Lega di futura collaborazione con Matteo e con noi tramite Freni“? Oggi andrebbero sbianchettati sia i riferimenti a “Matteo” che quelli al sottosegretario all’Economia.

Intercettare meno per scoprire meno reati – D’altra parte quello sulle intercettazioni è un chiodo fisso di Nordio, che ne ha più volte contestato il costo. Subito dopo l’insediamento, il ministro ha provocato roventi polemiche, sostenendo che i boss mafiosi “non parlano al telefonino” per commettere reati. Poche settimane dopo le intercettazioni sono state fondamentali per interrompere la latitanza trentennale di Matteo Messina Denaro. Un’altra occasione in cui la realtà si è incaricata di smentire l’operato del Governo risale a pochi giorni fa: è finito agli arresti mentre intascava una tangente da 15mila euro Paolo Iorio, direttore generale Business di Sogei, l’azienda del Ministero dell’Economia che si occupa di sicurezza informatica. Anche per quell’inchiesta sono state fondamentali le intercettazioni, che sette giorni prima hanno subito un’ulteriore stretta. Il Senato, infatti, ha appena dato il primo via libera alla norma che abbassa a 45 giorni il limite massimo per gli ascolti durante le indagini, con proroghe possibili solo quando dalle captazioni emergono nuovi elementi. Nell’inchiesta sul manager Sogei le prime intercettazioni risalgono al novembre del 2023, undici mesi prima dell’arresto: se la nuova norma fosse stata già approvata, Iorio sarebbe probabilmente ancora in libertà. Con strumenti d’indagine più deboli si scopriranno meno illeciti e dunque si celebranno meno processi. Forse era questa la depenalizzazione promessa da Nordio: solo che non si tratta di abolire i reati, ma di evitare di scoprirli.

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