Dopo l’attacco di ieri nei pressi della capitale Ankara, la Turchia ha confermato nelle scorse ore raid contro le basi del Pkk, nel nord dell’Iraq e in Siria. “Sono stati colpiti e distrutti 32 obiettivi appartenenti ai terroristi”, hanno reso noto dal ministero della Difesa di Ankara Yaar Guler. Negli attacchi di Ankara nel nord e nell’est della Siria almeno 12 civili sono rimasti uccisi – inclusi due bambini – 25 sono feriti: lo dichiarano le Forze democratiche siriane guidate dai curdi e sostenute dagli Stati Uniti.

L’attacco terroristico di ieri non è stato ancora rivendicato. All’ingresso della sede delle Turkish Aerospace Industries, sono morte almeno 5 persone con 22 feriti, tre dei quali in gravi condizioni. Il Partito dei lavoratori del Kurdistan da oltre 40 anni è coinvolto in un conflitto armato con l’Esercito di Ankara.

L’ATTENTATO – L’assalto è avvenuto a Kahramankazan, cittadina a circa 50 chilometri a nord-ovest di Ankara. Intorno alle 16.30 di ieri, il commando ha aperto il fuoco con fucili d’assalto all’ingresso della sede dell’azienda. Nell’area dell’impianto – secondo quanto apprende l’Ansa da fonti informate – erano presenti anche 11 italiani, tra cui otto tecnici di Leonardo: sono al sicuro e senza conseguenze.

Non sono chiare le ragioni dell’attacco, nessuna rivendicazione è stata proclamata. Solo nel tardo pomeriggio di ieri, il ministro della Difesa turco Yasar Guler ha accusato il Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, di essere dietro l’attentato: “Ogni volta diamo loro la punizione che meritano. Ma non capiscono – ha dichiarato – Li perseguiteremo finché non sarà eliminato l’ultimo terrorista”.

LA CONDANNA DELL’OPPOSIZIONE FILOCURDA – Selahattin Demirtas, per anni a capo delle forze politiche filocurde nel Parlamento di Turchia e incarcerato dal 2016, prende nettamente le distanze dall’attentato con un post su X (ex Twitter): “Condanniamo l’attacco ad Ankara”, ha scritto Demirtas, esprimendo cordoglio per le vittime e augurando guarigione ai feriti. Il politico ha anche affermato che se il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) in carcere dal 1999, Abdullah Ocalan, si pronunciasse a favore di un processo di pace tra Ankara e il gruppo curdo armato, questa iniziativa sarebbe sostenuta dal partito filocurdo in Parlamento.

OCALAN, PRIMA VISITA IN CARCERE IN 4 ANNI – Il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), Abdullah Ocalan, ha ricevuto ieri – per la prima volta in oltre 4 anni – una visita nel carcere sull’isola di Imrali, nel Mare di Marmara a sud di Istanbul, dove si trova dal 1999, condannato all’ergastolo. Omer Ocalan, parente del leader del Pkk e deputato del partito filocurdo Dem, la terza forza più rappresentata nel Parlamento turco, ha fatto sapere in un messaggio su X di avere potuto incontrare Ocalan in carcere ieri, mentre l’ultima visita risaliva al 3 marzo del 2020. “Vogliamo che le visite familiari di routine, che sono un diritto legale, continuino a prescindere dalle circostanze”, ha scritto il deputato.

IL MESSAGGIO DI OCALAN: “PACE POSSIBILE”- Il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), Abdullah Ocalan, ha fatto riferimento a un possibile abbandono della lotta armata da parte del suo gruppo, da 40 anni in conflitto con l’esercito turco. “Se ci sono le giuste condizioni, ho il potere teorico e pratico per spostare questo processo dal terreno del conflitto e della violenza al terreno legale e politico”, ha affermato Ocalan, come riferiscono vari media turchi, in un messaggio affidato a un deputato del partito filocurdo Dem, e parente, che lo ha visitato ieri nel carcere sull’isola di Imrali, a sud di Istanbul, dove è rinchiuso dal 1999 per l’ergastolo.

Le dichiarazioni arrivano nel contesto di voci su una possibile riapertura del processo di pace tra il governo turco e il Pkk. Lunedì il partito di estrema destra Mhp, alleato del presidente Recep Tayyip Erdogan e con posizioni molto lontane dalle forze curde, aveva lanciato un clamoroso appello a Ocalan, invitandolo a proclamare lo scioglimento del Pkk, alludendo a una possibile fine del suo regime di isolamento.

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