Neppure il tempo di presentarla alla Festa del Cinema di Roma e di ricoprire i muri delle stazioni della metropolitana con i manifesti pubblicitari che ne annunciavano il debutto su Disney+ il 24 ottobre, che l’uscita della serie tv in quattro puntate sull’omicidio di Avetrana è stata bloccata. Il tribunale di Taranto ha accolto la richiesta del sindaco della cittadina pugliese, Antonio Iazzi, che ritiene oltraggioso soprattutto il titolo Avetrana-Qui non è Hollywood, e vuole evitare a tutti i costi che la pubblicazione della mini serie conduca l’opinione pubblica a pensare che Avetrana si identifichi con una realtà “criminogena, retrograda e omertosa”.
Se partiamo dal fatto che la denominazione dei delitti più celebri della storia della cronaca nera italiana non prescinde quasi mai dalla località in cui è stato commesso il crimine, dal delitto del Circeo a quello di Cogne passando per Erba e Novi Ligure, è logico e naturale accettare che il nesso fra un luogo e l’evocazione di un fatto tragico accaduto in passato sia inevitabile, ma non pregiudichi necessariamente la reputazione di quel luogo e di chi ci vive. Soprattutto quando, come spesso accade e come è avvenuto anche nel caso di Avetrana, il Comune teatro dell’accadimento si è costituito parte civile nei processi rivendicando la gravità dell’offesa ricevuta dall’intera comunità.
Per quel che concerna il sottotitolo “Qui non è Hollywood”, a mio avviso non si tratta di una scelta stilistica degli autori che possa in qualche modo indulgere al sarcasmo e al cattivo gusto, ma si tratta di un’evocazione precisa, di un riferimento fattuale a una scritta comparsa su un muro di Avetrana probabilmente per opera di un cittadino che polemizzava contro i media e le numerose troupe televisive che invasero la località nelle settimane successive alla scomparsa di Sarah Scazzi, una ragazza di 15 anni che si pensava uscita di casa per andare al mare con sua cugina ma che fu poi ritrovata cadavere in un pozzo per la raccolta di acqua piovana.
Letto in quest’ottica, il titolo è semmai una denuncia da parte di chi ha ravvisato un’eccessiva spettacolarizzazione di una tristissima e tragica vicenda ai danni di una quindicenne che fu barbaramente assassinata e uccisa due volte dai tentativi di depistaggio dei suoi carnefici e dalle versioni più volte cambiate da parte di chi fu poi condannato per averne occultato il corpo. D’altro canto, va detto che in molti casi i media non possono essere accusati di alimentare la morbosità e l’orrore che ruotano intorno ai casi di omicidio, perché spesso il diritto e il dovere di cronaca spingono gli addetti ai lavori dove le forze dell’ordine per vari motivi non riescono ad arrivare.
Il ritrovamento del corpo della povera Sarah, come tutti ci ricordiamo, purtroppo avvenne in diretta tv nella trasmissione Chi l’ha visto alla presenza di sua madre, ma è innegabile che il lavoro di giornalisti e inviati abbia contribuito a mettere la parola fine ad uno stillicidio di ipotesi e piste false che probabilmente si sarebbero protratte molto più a lungo se non ci fosse stata tutta quella pressione mediatica. Allo stesso modo gli autori del libro Sarah-La ragazza di Avetrana, che sono anche gli autori della serie, hanno studiato e analizzato migliaia e migliaia di pagine di documenti inerenti alle indagini, ai processi, al movente, alle condanne all’ergastolo della cugina e della zia di Sarah, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, alle motivazioni della sentenza, alle numerose ritrattazioni di Michele Misseri, lo zio della vittima che si è più volte autoaccusato dell’omicidio ma che la giustizia ritiene innocente.
Se la loro opinione è quella di poter dare un contributo al racconto di una vicenda sulla quale permangono ancora dei vuoti e una mancanza di certezze granitiche oltre ogni ragionevole dubbio, non si capisce come questo lavoro possa arrecare danno e oltraggio alla popolazione di Avetrana.
La colonna sonora – composta da Marracash – di questa serie sospesa si intitola La banalità del male. Forse proprio la banalità e la facilità che si ritrovano nel perimetro di alcuni assurdi omicidi sono la leva che muove l’interesse del pubblico, l’orrore per qualcosa che pensiamo non possa capitarci mai e la paura di non averne la completa certezza.