Ha poca importanza se la moglie del capo di Hamas recentemente ucciso dall’esercito israeliano, Yayha Sinwar, durante una delle tante fughe sotto a un tunnel indossasse o meno una borsa da circa trentamila euro, come sembrerebbero testimoniare alcuni filmati. Ne ha molta di più comprendere che le guerre non si giudicano secondo l’etica binaria (ha ragione Israele o Hamas, la Russia o l’Ucraina), che sciaguratamente prevale nell’epoca social del mi piace/non mi piace, del o di qua o di là, del tifo integralista per il bianco o il nero, dimenticando che l’intelligenza si annida tra le sfumature di grigio.
Piuttosto sarebbe saggio rendersi conto che è sempre stata la categoria della lotta di classe a spiegare molte cose. Per esempio il fatto che sono i ricchi e potenti a mandare al macello i poveracci, solitamente per questioni e interessi che per nulla riguardano questi ultimi.
Lo aveva ben compreso Lenin, quando guidò la rivoluzione sovietica chiamando i proletari e gli sfruttati di ogni nazione a insorgere contro i propri governanti, quindi ritirando la stessa Unione Sovietica dalla Prima guerra mondiale, perché il nemico non erano i tedeschi o gli italiani, gli austriaci o chissà chi altri, ma i governanti di quei paesi che conducevano guerre in nome dei propri interessi imperialistici e di profitto.
Se si adottasse il criterio della lotta di classe, sarebbe molto arduo ignorare che Putin è un miliardario autocrate e criminale, circondato da una pletora di affaristi corrotti e proni al potere per interesse economico, che Sinwar e i dirigenti di Hamas erano e sono milionari coinvolti nella vita dorata del Qatar e di altre “democrazie” arabe che – guarda caso – si guardano bene dall’intervenire in favore dei palestinesi o degli iraniani, ma anzi sembrano tutto sommato soddisfatte che Netanyahu finisca il lavoro sporco. Con lo stesso criterio si scoprirebbe che anche lo stesso capo del governo israeliano e i suoi ministri stanno mandando a morte molti soldati israeliani (oltre alla carneficina di palestinesi) in nome della difesa del proprio potere, o che lo stesso Zelensky sembra procedere secondo una logica che poco o nulla tiene conto degli interessi reali nonché delle vite dei propri cittadini.
Poi, certo, a seconda delle posizioni è molto facile scagliarsi contro gli israeliani malati di sionismo (e ve ne sono, per carità) o contro i palestinesi affetti da fondamentalismo (ve ne sono anche qui). Ancora più facile indignarsi perché la guerra miete vittime innocenti, contempla crudeltà indicibili, ci fa vedere scene che dilaniano i nostri cuori e le nostre coscienze (oggi che tramite social e microcamere onnipresenti si possono vedere fin troppo bene, ma ovviamente la guerra è sempre stata un affare sanguinoso).
Ecco allora emergere una sorta di indignazione onanistica, quella che spinge a opporsi genericamente alla guerra o manifestare per una pace altrettanto aleatoria, a raccogliere firme come se Putin, Netanyahu, Hamas o Zelensky non aspettassero altro che vedersele recapitare per aprire i propri cuori, versare una lacrimuccia e proclamare il volemose bene globale e risolutivo.
Che poi, intendiamoci, anche Lenin dopo aver concluso vittoriosamente la rivoluzione bolscevica, annullò le prime elezioni libere, perché il popolo sovietico si espresse a maggioranza in favore dei suoi avversari menscevichi, con la scusa che non era ancora pronto per la rivoluzione. Se Marx e lo stesso Lenin avessero letto Freud (Marx non aveva potuto per questioni cronologiche), forse avrebbero compreso che la dimensione umana è governata da quella che il sociologo tedesco Robert Michels chiamava “legge ferrea dell’oligarchia”, per cui ogni gruppo, anche il più rivoluzionario, alla fine vede emergere in maniera inevitabile un’élite governante, destinata a esercitare un potere dispotico sulla massa dei governati.
Quindi qual è il punto? Che al netto del fatto che un governo perfettamente democratico è impossibile e che ogni gruppo dirigente, prima o dopo, è destinato a scontentare le esigenze del popolo, è di gran lunga preferibile un regime in cui il potere sia il più diffuso possibile, non nelle mani di uno soltanto e controbilanciato da altri poteri come quello della magistratura, del Parlamento o di una stampa libera. Tutto il contrario di ciò che sta facendo l’attuale governo italiano, efficace nel fingere un’anima popolare fino a che non emergerà in tutta la sua evidenza la sua sottomissione a una borsa da ben più di trentamila euro.