Una riforma priva di investimenti e senza tempi certi di attuazione, che si propone di risolvere il problema delle liste d’attesa senza ridurre il numero di visite specialistiche e di esami diagnostici inappropriati che ingolfano il sistema e penalizzano i pazienti più gravi. È il ritratto tracciato da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, del disegno di legge sulle prestazioni sanitarie che, insieme al decreto legge approvato lo scorso luglio, mira a limitare le lunghissime liste d’attesa a cui sono costretti i pazienti che si rivolgono al Sistema sanitario nazionale. Cartabellotta, davanti alla Commissione Affari sociali del Senato, ha sottolineato come il governo Meloni continui ad affrontare i problemi del Ssn con un approccio a costo zero: “Le riforme senza risorse rimangono inevitabilmente scatole vuote – ha commentato il presidente – e questo disegno di legge non prevede alcun investimento ad hoc. Non viene preso in considerazione alcun potenziamento per il pubblico, cronicamente sottofinanziato. Il provvedimento si pone l’obiettivo di abbattere le liste d’attesa puntando esclusivamente su specialisti ambulatoriali convenzionati, sul privato accreditato e su contratti flessibili. Così si può solo tamponare l’emergenza”.
Se è vero che i tempi di attesa aumentano a causa dello squilibrio tra la domanda di visite ed esami e l’offerta che il Ssn riesce a garantire, le prime due cose da fare sarebbero state investire sul personale sanitario e ridurre il numero delle prestazioni inappropriate, ovvero quelle che non soddisfano reali bisogni di salute dei pazienti. “Tuttavia le misure previste dal ddl – commenta Cartabellotta – prevedono solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta”. Una “strategia perdente”, secondo l’analisi della Fondazione: “Come dimostrano numerosi studi, una volta esaurito nel breve periodo il cosiddetto effetto spugna, l’incremento dell’offerta finisce per indurre un ulteriore aumento della domanda”, vanificando lo sforzo iniziale. Prima di ogni altra cosa, prosegue Gimbe, è necessario definire dei criteri specifici per valutare l’appropriatezza delle prestazioni, oltreché lavorare a un piano di formazione dei professionisti e d’informazione dei pazienti.
Tutte le misure inserite nel ddl non comportano maggiori oneri per la finanza pubblica. Il provvedimento, infatti, prevede di investire 100 milioni di euro per il 2025 e per il 2026, ricavandoli dal Fondo sanitario nazionale, già “cronicamente sottofinanziato”. Questi soldi serviranno ad aumentare il numero di ore lavorative degli specialisti ambulatoriali. Si prevede che, per arrivare ad erogare più di 3 milioni di prestazioni, siano necessarie oltre un milione di ore di lavoro aggiuntive. Inoltre, il ddl aumenta le soglie per l’acquisto di prestazioni dal privato accreditato, oltre quanto già previsto dalla Legge di Bilancio 2024, mettendo sul piatto, per i prossimi due anni, altri 184 milioni. “In attesa del testo della Legge di Bilancio 2025 – commenta Cartabellotta – il testo del ddL conferma la decisione del Governo di non investire ulteriori risorse nella sanità pubblica”.
Per potenziare l’offerta bisogna investire sul personale sanitario. Aumentare gli organici, non stremare ulteriormente chi è già in servizio, alimentando ancora la fuga dei professionisti dal Ssn. Tra il 2019 e il 2022, la sanità pubblica ha perso oltre 11mila medici, in fuga da turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate e dall’aumento degli episodi di violenza. Ma ancora più grave è la mancanza di infermieri. Sono solo 6,5 ogni mille abitanti – contro la media Ocse di 9,8 – e questo dato è destinato a peggiorare visto il basso numero di laureati in Scienze Infermieristiche. “Servono fondi per incrementare l’attrattività della carriera nel Ssn – spiega Cartabellotta -. Dobbiamo aumentare i salari e migliorare le condizioni di lavoro. Un’ulteriore pressione sui professionisti in servizio, senza un adeguato ricambio generazionale e degli incentivi appropriati, rischia di far aumentare i fenomeni di fuga dal Ssn, già in preoccupante crescita”.
Infine, resta il nodo dei decreti attuativi. Il ddl ne prevede sette e per due di loro non sono nemmeno stabiliti i termini di pubblicazione. “Un numero così elevato di decreti attuativi – commenta Cartabellotta – lascia molte perplessità sui tempi di attuazione delle misure. Tra valutazioni tecniche, passaggi burocratici tra Ministeri e attriti politici, dei decreti attuativi si perdono spesso le tracce. Il rischio è che diventi impossibile applicare le misure previste”, conclude.