Speciale legge di bilancio

In manovra mini stretta contro l’evasione dei tassisti e sulle spese di trasferta. Più facile per il fisco pignorare gli stipendi degli statali

Non c’è molto, in manovra, per potenziare la lotta all’evasione fiscale. Il governo, che nel Piano strutturale di bilancio ha ammesso come nel 2023 il contrasto al nero abbia subito una “battuta d’arresto”, si accontenta di ritoccare disposizioni già in vigore come l’obbligo per gli esercenti di trasmettere ogni giorno alle Entrate i dati sui pagamenti elettronici ricevuti. Con effetto, peraltro, solo dal 2026. La novità più rilevante e simbolica, che scatta già a partire dal prossimo anno, si potrebbe battezzare “norma Red Sox”, il tassista bolognese che smaschera i colleghi allergici al pos. Per ridurre l’evasione che ruota intorno alle spese di alloggio, trasporto e ristorazione, il pagamento con mezzi tracciabili diventerà obbligatorio per poter dedurre il costo in dichiarazione dei redditi. In più arriva un giro di vite sui 180mila dipendenti pubblici con stipendi superiori a 2.500 euro e debiti col fisco per oltre 5mila euro: sarà più facile che si vedano pignorare un settimo della busta paga, come già consentito. Il recupero atteso dall’insieme di tutte le misure è di 1,2 miliardi in tre anni.

Il primo intervento messo in campo dalla legge di Bilancio, all’articolo 9, punta a “rendere maggiormente integrati” la memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi attraverso i nuovi registratori di cassa telematici e le transazioni elettroniche tramite pos. Viene previsto un “collegamento tecnico” che dovrebbe rendere evidenti eventuali incoerenze tra gli scontrini emessi e gli incassi che risultano dai pagamenti con carta. Dal 2026 scatteranno per chi non si adegua sanzioni da 100 a 1000 euro, con eventuale sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività. In via prudenziale, la relazione tecnica stima l’effetto, in termini di incassi aggiuntivi di Iva e imposte dirette, in 50 milioni nel 2026 che salirebbero a 65 a regime.

Si dispone poi che il Codice identificativo nazionale per gli affitti brevi, in teoria operativo da settembre scorso ma di cui è stato annunciato il rinvio a gennaio, sia indicato nelle dichiarazioni fiscali e nelle comunicazioni trasmesse da chi gestisce i portali di intermediazione come Airbnb. I risultati dei controlli fatti dal Comune sulle case in affitto turistico saranno poi comunicati – come pare ovvio – alla direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate per rafforzare le attività di analisi del rischio evasione. Il ministero dell’Economia ipotizza che ne possano derivare 88 milioni di maggiori entrate all’anno.

L’articolo 10 della manovra è tutto dedicato alla tracciabilità delle spese di trasferta. Sul modello di quanto già previsto per le spese sanitarie dal prossimo anno scatterà l’obbligo, per poterle dedurre, di pagare con moneta elettronica o bonifico. La speranza è che introdurre un “contrasto di interessi” tra acquirente e venditore – al primo converrà saldare il conto con la carta – consenta di contrastare in un colpo solo sia le frodi al fisco di autonomi e piccole imprese che dichiarano costi superiori a quelli effettivamente sostenuti sia la sottodichiarazione di ricavi da parte di tassisti e Ncc. Il potenziale recupero di gettito da questi ultimi, per i quali si stima una propensione all’evasione del 49,8%, viene quantificato in 20 milioni, mentre dai servizi di alloggio e ristorazione non ci si attende alcun ricavo aggiuntivo visto che già oggi hanno l’obbligo di fatturazione elettronica e trasmissione dei corrispettivi. Sul fronte opposto, l’indeducibilità dei costi pagati in contati potrebbe comportare in teoria un risparmio di 435 milioni per le casse pubbliche. Ma, spiega la relazione tecnica, per le imprese medie e grandi la sovra dichiarazione di costi deducibili è già oggi trascurabile, quindi la cifra va rivista al ribasso. Il recupero effettivo nel 2026, primo anno in cui si vedrà un beneficio, sarà di 432 milioni. A regime dovrebbe fermarsi a 244 milioni l’anno.

Un’ulteriore disposizione si concentra sui dipendenti della pubblica amministrazione inadempienti con il fisco. Può sembrare un problema secondario, ma dalla relazione tecnica si scopre che sono 250mila quelli che hanno debiti superiori a 5mila euro. La manovra interviene dimezzando da 5.000 a 2.500 euro la soglia di stipendio o indennità oltre la quale, prima di procedere al pagamento, pa e società a prevalente partecipazione pubblica devono verificare se il beneficiario ha cartelle non pagate per più di 5.000 euro, appunto. In quel caso il versamento non parte e viene informato l’agente della riscossione perché proceda al recupero. Che può avvenire attraverso il pignoramento di un settimo della cifra per chi guadagna oltre 2.500 euro al mese, un decimo se a quella soglia si arriva solo calcolando anche la tredicesima. Il beneficio per l’erario e gli altri enti creditori non sarà comunque sostanziale, visto che solo il 20% delle persone coinvolte – stando ai calcoli del Mef – non paga spontaneamente o approfittando di rateizzazioni e sanatorie. A regime, l’attesa è di 36 milioni di maggior gettito nel 2026, che salgono a 90 milioni all’anno a regime.