Giustizia “pregiudiziale”, provvedimenti “abnormi”, giudici “ayatollah”, giustizia “politicizzata”: sono solo alcune delle espressioni utilizzate da importanti membri del governo italiano in queste ore per definire i provvedimenti giurisdizionali adottati dal Tribunale di Roma qualche giorno fa, a seguito di domande di protezione internazionale avanzate da cittadini stranieri condotti nel nuovo centro di accoglienza in Albania in attesa di rimpatrio.

Peccato che la politica non sappia fare i conti con gli obblighi internazionali ai quali anche l’Italia soggiace – da svariati decenni, per la verità- a seguito dell’adesione all’Unione Europea.
Invece che prendersela con sé stessa e con le scelte coraggiosamente e meritoriamente assunte da Politici italiani del calibro di Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, certi importanti esponenti delle Istituzioni colgono l’occasione per dare fuoco, assistiti da veri e propri cannoni mediatici, all’ennesimo “scontro” (ma forse sarebbe più appropriato parlare di attacco unilaterale) con la magistratura..

La colpa dei giudici è una, nel caso di specie: essere soggetti soltanto alla Legge e alla sua interpretazione vincolante, in virtù delle norme della nostra Costituzione e dei Trattati internazionali, che impongono ai giudici di operare per l’attuazione di essi in modo oggettivo e imparziale nei confronti di ogni potere – e/o di ogni persona- che intenda ostacolare o negare i diritti e le libertà fondamentali.

La normativa Ue e l’interpretazione di quelle norme fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, infatti, godono di un primato applicativo anche nel nostro ordinamento, primato che è capace di determinare la disapplicazione di norme interne che siano in contrasto con esse.
E’ ciò che è successo nella fattispecie, in quanto i magistrati si sono limitati a dare seguito ad un pronunciamento del giudice europeo, derivante dall’applicazione di una direttiva europea (che ha valenza di legge primaria).

Ad aiutare i membri del governo e altri parlamentari ad infierire nei confronti dei magistrati sono state le idee espresse, in pubblici dibattiti o in private mailing list, da due esponenti di una nota corrente “progressista”, denominata Magistratura democratica, che avevano già criticato in tempi non sospetti la politica del governo in materia di migranti o che hanno apertamente contestato l’attacco alla giurisdizione mosso dal governo di destra, denunciando la “pericolosa” azione di governo e della sua leadership nell’intento di modificarne l’assetto a livello costituzionale.

Anche in questo ambito, però, i politici hanno dimenticato una ovvietà. E cioè che anche i magistrati godono di diritti fondamentali, come quello di esprimere il loro pensiero. Lo fanno in base a principi enunciati nelle Carte fondamentali italiane e internazionali (art. 21 Cost.; art. 19 dichiarazione Universale diritti Uomo, art. 10 e 11 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) ma anche in documenti di altre importanti istituzioni che garantiscono questa principale libertà per i giudici.

Basti pensare che lo Statuto Universale del giudice prevede che “i giudici godono, come tutti i cittadini, della libertà d’espressione (art. 3-5 statuto)”.

Anche il Consiglio Consultivo dei giudici europei, organismo istituito dal Consiglio d’Europa, in ben due suoi pareri (il n. 3 del 2002 e il n. 25 del 2022), ha stabilito che il giudice gode del diritto alla libertà di espressione come qualsiasi altro cittadino e che “oltre al diritto individuale del giudice, i principi di democrazia, separazione dei poteri e il pluralismo richiedono la libertà dei giudici di partecipare ai dibattiti di interesse pubblico soprattutto per quanto riguarda questioni relative all’ordinamento giudiziario”. Si specifica, in modo ancor più pregnante, come “nelle situazioni in cui la democrazia, la separazione dei poteri o lo Stato di diritto sono minacciati, i giudici devono essere resilienti e avere il dovere di far sentire la propria voce in difesa dell’indipendenza, dell’ordine costituzionale e del ripristino della democrazia, nazionale e internazionale. Ciò include punti di vista e opinioni su questioni che sono politicamente sensibili e si estende all’indipendenza sia interna che esterna giudici e la magistratura in generale”.

Altro che mordacchia o ayatollah, i magistrati hanno il diritto di esprimersi, e, in alcuni casi, persino un dovere morale, specialmente quando ad essere in gioco sono i principi fondanti della giurisdizione e l’interesse dei cittadini al mantenimento del “rule of law”.

E’ chiaro che “nell’esercizio di questo diritto essi devono comunque dar prova di riserbo e comportarsi sempre in maniera tale da preservare la dignità delle loro funzioni, così come l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura”. Ciò significa che il magistrato non deve fare politica, né fuori, né dentro le aule di giustizia, e che ove coltivasse un pregiudizio in una certa materia o affare ha l’obbligo morale, prima che giuridico, di astenersi dalla trattazione dello stesso.

La magistratura deve fare sempre autocritica e deve evitare qualsiasi collateralismo con i partiti politici. Ma non sembra sia questo il caso odierno.

Si comprende, invece, che la finalità degli spregiudicati insulti e delle denigrazioni sferrate pubblicamente da certi politici in questi giorni sembrano piuttosto rivolti ad una chiara interferenza nei confronti dell’attività precipua del magistrato. Si cerca di forzare, con l’autorità e con il potere della legge d’urgenza, il dovere interpretativo e disapplicativo del magistrato, destinato a tutelare i diritti fondamentali, specialmente dei più deboli (nel caso di specie di stranieri in fuga dai Paesi insicuri di origine), in modo imparziale e uguale per tutti.

A fronte di questo spettacolo poco commendevole, le solite correnti della magistratura ne approfittano per marcare i relativi campi ed effettuano ogni distinguo al fine di accattivarsi fette di elettorato tra i magistrati (in vista di imminenti elezioni associative) ovvero il plauso del governo al comando, manifestando così tutto il loro collateralismo e la loro piaggeria. Si assiste a comunicati di un gruppo che, pur di incensarsi il governo e la sua premier, criticano l’innocua mail del magistrato, inviata privatamente in una lista riservata, e, invece di difenderne la privacy e il diritto di esprimere liberamente il pensiero, anche critico, nei confronti delle pessime riforme costituzionali in ballo, lo espongono ulteriormente a pubblico ludibrio.

Succede anche che un gruppo di componenti togati del Csm si rifiutino di sostenere una pratica a tutela dei colleghi attaccati per i loro provvedimenti, perché nel documento di apertura della pratica sarebbe stata omessa la doverosa autocritica nei confronti delle pregresse esternazioni di uno di essi in materia di politica migratoria. Come se il prestigio e la tutela della indipendenza della magistratura dovessero passare attraverso le forche caudine della colpa di un suo rappresentante per avere espresso liberamente un pensiero critico nei confronti del potere politico.

Sullo sfondo di questo deprimente panorama istituzionale si intravedono due volontà convergenti. Da una parte quella dell’Esecutivo di imbrigliare il più possibile la discrezionalità del giudice nell’esercizio della sua funzione e condizionarne sempre più l’indipendenza in vista di una riforma che possa rendere burocratico il suo mestiere e possa rendere il giudice e il pubblico ministero passivi esecutori di ordini del potente di turno. Dall’altra la voglia dei gruppi associativi magistratuali di mantenere la posizione di potere di cui godono da decenni con particolare riguardo all’organo di governo autonomo della magistratura.

Chi è fuori dai giochi di palazzo teme che questa manfrina dello scontro tra poteri abbia soltanto un reale obiettivo: fingere di litigare e di scontrarsi per giungere ad una mediazione gradita ad entrambe le parti.

Ossia quella di modificare l’assetto costituzionale dei poteri dello Stato, giungere alla tanto agognata separazione delle carriere e alla istituzione di una alta corte disciplinare nel senso desiderato dalla Politica e barattare l’unica vera fondamentale riforma per ridare credibilità alla magistratura, ossia una legge per il Csm che consenta la selezione dei suoi componenti per sorteggio (magari temperato da successiva elezione tra candidati estratti), in modo da eliminare la cancrena del correntismo e della politicizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura.

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