La cucina accessibile e alla portata di tutti. Anche di chi, con padelle, impasti e ingredienti più disparati non ha una particolare sintonia. Dal 2016 è la missione di “Chef in Camicia”, un progetto nato dall’idea di Nicolò Zambello, Luca Palumbo e Andrea Navone, tre amici accomunati da una grande passione per il cibo e dalla voglia di condividere le loro esperienze davanti ai fornelli, suggerendo alla gente ricette sempre diverse. Oggi, sulle principali piattaforme social, la loro pagina conta oltre 1,4 milioni di follower e sono tra i food blogger più seguiti e apprezzati. Abbiamo raggiunto chef Lello, uno dei tre co-fondatori, noto sul web per la preparazione di panini.
Partiamo dall’inizio. Com’è nato “Chef in Camicia”?
Da una di quelle chiacchierate informali che si fanno tra amici in un bar. Io, Nicolò e Andrea eravamo compagni alla scuola elementare, ci siamo ritrovati dopo tanto tempo e abbiamo scoperto di avere una passione comune: la cucina. Abbiamo cominciato occupandoci di piccoli servizi di catering. Io prendevo dei pomeriggi liberi dal lavoro per dedicarmi, insieme a Nick, alla preparazione di alcuni finger food per gli eventi serali. Prendevamo anche lezioni private di cucina, ma volevamo fare di più. Così, nel 2016 abbiamo deciso di lanciarci in un progetto nuovo e provare a cambiare il modo in cui si parlava di cucina in Italia.
In che modo?
Producendo video di ricette. Ne abbiamo registrati 60 a casa di un amico in sole due settimane e abbiamo pubblicato il nostro primo filmato su Facebook e Instagram. Da lì, “Chef in Camicia” è esploso e non ci siamo più fermati.
Cosa rappresenta la camicia nel vostro nome?
È la nostra visione di cucina, accessibile e alla portata di tutti. La classica giacca da chef, spesso, dà un’idea di formalità o distanza, quasi fosse riservata a un’élite. Al contrario, la camicia è un capo quotidiano, semplice e pratico, che rappresenta il lavoratore comune. È un indumento che indossi sia per essere professionale che per stare comodo. Rispecchia perfettamente la nostra filosofia: parlare di cucina in modo informale, senza quella patina di snobismo che a volte circonda questo mondo.
Dei tre fondatori, lei è la star dei panini. Qual è secondo lei il panino ideale?
Ce ne sono tanti, ma il panino perfetto ha pane caldo, buono, impastato bene e con buone farine. Dentro, prosciutto crudo iberico e una salsina di pomodoro fresco, un po’ di aglio e basilico.
Qual è stato, invece, il panino più buono non preparato da lei che ha mangiato?
Me n’è rimasto impresso uno molto semplice ma davvero pazzesco. L’ho mangiato a San Sebastián (Spagna, ndr), un luogo che consiglio di visitare se amate il cibo.
Quali erano gli ingredienti?
Era un filoncino di pane con salsa aioli e calamari fritti. Credo che, per quanto il panino avesse solo tre ingredienti, sia stata un’ esperienza davvero unica.
Sui social la pagina di “Chef in Camicia” è seguitissima. Come capite cosa piace ai follower?
Chi ci segue, sa che con noi è come riunirsi attorno a un tavolo apparecchiato. La cucina diventa un’esperienza condivisa prima ancora che un pasto da gustare. Le persone cercano sempre figure vere, credibili, che possano guidare le loro scelte di consumo. Noi ci impegniamo costantemente nel portare un valore nei nostri contenuti attraverso consigli, racconti e messaggi genuini.
Quali sono i valori che ritiene indispensabili nel suo lavoro?
L’autenticità è centrale in tutto quello che facciamo. Ci siamo sempre impegnati a mantenere un tono diretto, sincero e alla mano sia nei nostri video che nella relazione con la nostra community. Altrettanto importante è l’innovazione. Dal 2016 a oggi siamo sempre rimasti costanti nella ricerca di nuove idee, formati e tecnologie per migliorare l’esperienza dei nostri follower. Infine, la passione che condividiamo e che è il motore che ci spinge a migliorare, sperimentare e superare le avversità. Vogliamo trasmetterla a chiunque ci segua.
All’inizio della vostra carriera vi siete occupati di catering e ora continuate a farlo per grandi eventi. A suo parere, oggi, un’attività di catering può essere più semplice da gestire rispetto a una di ristorazione nella quale si ricevano clienti in sala?
Credo che fare catering in maniera professionale sia un lavoro più complesso rispetto a quello della ristorazione perché bisogna adattarsi a situazioni e contesti che sono sempre diversi e spesso complicati. Un lato positivo è che si ha il privilegio di vedere spesso location uniche nel loro genere.
Dal 2016, quando avete pubblicato la vostra prima video ricetta sul web, pensa che sia cambiato il rapporto della gente con il cibo?
È cambiato radicalmente e c’è un’attenzione maggiore anche all’estetica dei piatti: “mangiamo” prima con gli occhi. Sui social il cibo è diventato un argomento di discussione, a volte anche in maniera un po’ troppo polemica. Ma credo sia normale, in realtà, in un Paese come il nostro dove “il cibo è una cosa seria”.
Nel mondo della ristorazione e non solo ci si lamenta spesso che i giovani non hanno voglia di lavorare. È d’accordo?
No. Ci sono tantissimi giovani che lavorano con passione e dedizione. Quelli che sembrano non avere voglia di farlo, in realtà, forse non hanno trovato la strada giusta per loro.