Un testimone chiave della scomparsa di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana di cui non si hanno notizie da 41 anni, è stato interrogato ieri dalla commissione parlamentare d’inchiesta che indaga sul mistero della sua sparizione.
L’uomo dell’Avon
Si tratta di Bruno Bosco, all’epoca sovrintendente capo della Polizia addetto alla sicurezza del Senato. Quel 22 giugno del 1983 vide Emanuela prima che varcasse il portone della scuola di musica, nella Basilica di Sant’Apollinare, alle spalle del Senato. Fu lì, in corso Rinascimento che insieme a un vigile urbano vide la ragazza parlare con quello che è stato poi indicato “l’uomo dell’Avon”, come ha sostenuto sin dai primi giorni successivi alla scomparsa di Emanuela. Interrogato dopo tre giorni, Bosco fornì delle indicazioni precise: disse che era un uomo sulla trentina con i capelli chiari e radi e che avrebbe mostrato un cofanetto verde militare con la lettera A sul coperchio contenente cosmetici. In una nuova deposizione, due anni dopo la scomparsa, fu ascoltato dal giudice istruttore Ilario Martella che volle verificare quanto detto da Bosco nella Relazione di servizio del 28 giugno 1983 al Dirigente della squadra Mobile di Roma. In quell’occasione parlò di un tascapane di colore tipo militare con la scritta Avon, al posto del cofanetto. La sua testimonianza, all’epoca, coincideva con quella del vigile Alfredo Sambuco (deceduto anni fa) in servizio nei pressi del Senato, quel giorno.
La versione di Sambuco
Nei giorni successivi alla scomparsa il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi era riuscito a risalire agli agenti in servizio il pomeriggio 22 giugno e a porre delle domande al vigile Sambuco che gli disse di aver visto quel 22 giugno una ragazza che vedeva ogni giorno la cui descrizione corrispondeva ai tratti di Emanuela Orlandi: lunghi capelli neri, piccola di statura, con jeans e zainetto in spalla. Disse di averla vista, nel giorno della scomparsa, parlare con un uomo, sui 35 anni alto circa un metro e 80 e longilineo, biondo con capelli radi e stempiato e con un viso allungato.
Sambuco lo ricordava bene perché gli chiese di spostare l’auto, una Bmw color verde scuro, parcheggiata in divieto di sosta davanti a Palazzo Madama. Vide anche, così disse all’epoca, che aveva con sé una borsa marchiata Avon contenente dei cosmetici e questo coincide con la versione della stessa Emanuela che prima di sparire nel nulla telefonò a casa dal telefono della scuola di musica per dire alla sorella che aveva ricevuto un’offerta di lavoro molto vantaggiosa per conto dell’Avon. Avrebbe dovuto distribuire dei volantini a una sfilata di moda delle sorelle Fontana per 375mila lire. Ieri, l’ex poliziotto ha chiesto di secretare la sua audizione alla commissione. Secondo indiscrezioni riportate dal Corriere, il poliziotto in pensione avrebbe confermato il riconoscimento di Emanuela Orlandi nel vicolo davanti a Palazzo Madama. Quello della casa di cosmetici Avon, che all’epoca dichiarò che il reclutamento era affidato esclusivamente a personale di genere femminile, potrebbe essere stato il primo grande depistaggio di questa oscura storia.