La Politica agricola comune è stata revisionata, ma con l’aggiunta di deroghe e flessibilità che rischiano di rendere i campi meno resilienti rispetto a siccità e alluvioni. L’Italia avrà anche detto ‘no’ al cibo sintetico (leggi carne coltivata), ma con una legge bloccata dalla Commissione Ue e bocciata dalla Corte di giustizia europea. Il governo ha sbloccato 56 impianti eolici e agrivoltaici, ma quelli ancora fermi sono circa 1.300. È l’altra faccia delle slide con cui il governo Meloni racconta quanto fatto negli ultimi due anni. Diversi i settori legati all’ambiente nei quali l’Esecutivo si attribuisce vittorie e obiettivi raggiunti, senza raccontare ombre, ritardi e passi falsi commessi. La 41esima slide, per esempio, è dedicata alla difesa dell’agricoltura e “alla filiera agroalimentare e delle nostre eccellenze”. Va capito quale parte della filiera il governo abbia difeso negli ultimi due anni, dato che a inizio 2024 anche gli agricoltori italiani hanno partecipato alla protesta dei trattori che ha paralizzato l’Europa, denunciando proprio l’assenza di quel giusto prezzo per i loro prodotti che il governo Meloni racconta, anche nelle sue slide, di difendere.
La Politica agricola comune – Tra gli obiettivi che il governo Meloni si vanta di aver raggiunto c’è la revisione della Politica agricola comune, arrivata proprio in seguito alla protesta dei trattori. Con una procedura d’urgenza, sono state introdotte deroghe e flessibilità per le BCAA (buone condizioni agronomiche e ambientali), requisiti necessari per accedere ai fondi Ue. Così, mentre in Italia gli agricoltori sono sempre più in difficoltà (ed il loro reddito è sempre più basso) anche a causa degli effetti del cambiamento climatico, come siccità e alluvioni, sono state smantellate le misure che avrebbero dovuto rendere il sistema agricolo più resiliente. Durissimo il giudizio della Corte dei Conti Ue su come finora i piani nazionali hanno utilizzato flessibilità e deroghe già previste dalla riforma della Pac del 2021, ulteriormente annacquata dalla revisione di cui parla il governo Meloni. Cosa prevede? Vengono introdotte esenzioni da alcuni standard che riguardano, tra le altre cose, la copertura del suolo, la rotazione delle colture e la conservazione delle caratteristiche del paesaggio. Nulla, invece, per garantire un reddito equo agli agricoltori, quelli penalizzati da una redistribuzione dei fondi della Pac basata sulla superficie agricola utilizzata che, storicamente, ha assegnato l’80% delle risorse al 20% delle aziende più grandi e inquinanti.
Il ‘no’ al cibo sintetico (che ‘sintetico’ non è) bocciato dalla Corte di Giustizia Ue – Il tema del giusto prezzo per gli agricoltori, stando a ciò che sostiene il governo, dovrebbe essere tra le priorità dell’esecutivo Meloni, ma il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, si è molto più espresso (e speso) sulla battaglia contro la carne coltivata, definendola sempre ‘sintetica’. Un riferimento al ‘cibo sintetico’ è presente anche nelle slide, solo che nella carne coltivata di sintetico non c’è nulla. Le cellule prelevate dall’animale si nutrono e si fanno crescere in laboratorio (si coltivano in vitro oppure utilizzando un bioreattore) fino a quando si forma un tessuto muscolare, nello stesso modo in cui si sarebbe formato nell’organismo. Da queste parti dell’animale, infine, si preparano i tagli di carne. La legge italiana approvata nel 2023, tra l’altro in violazione della procedura europea TRIS e bloccata dalla Commissione Ue, ne vieta produzione e commercializzazione nella Penisola e bandisce il meat sounding, ossia l’utilizzo di termini tradizionalmente associati alla carne per prodotti vegetariani. Poche settimane fa, però, la Corte di giustizia Ue ha dichiarato illegittima ogni legge nazionale che vieti il meat sounding: i prodotti vegetariani possono essere commercializzati e pubblicizzati anche utilizzando termini come ‘bistecca’, ‘salsiccia’, ‘scaloppina’ e ‘hamburger’, a patto che gli ingredienti siano indicati in modo chiaro sulla confezione.
Dieci miliardi tra agricoltura e pesca – L’esecutivo rivendica i 10 miliardi destinati ad agricoltura e pesca, risorse che per lo più arrivano dai fondi europei del Pnrr e dal Decreto Agricoltura approvato a luglio 2024. Se il governo Draghi era a 5 miliardi di euro tra Pnrr e fondo complementare al piano, il governo Meloni è arrivato a 8 miliardi: dal Pnrr sono previsti 2 miliardi di euro in più per finanziare il “Fondo rotativo contratti di filiera”, che sarà gestito dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) e 850 milioni in più per i parchi agrisolari. Il Fondo dovrà sostenere imprese, gruppi di imprese o associazioni di produttori agricoli nonché organizzazioni di ricerca e diffusione della conoscenza, nei settori di interesse, migliorando i processi produttivi delle filiere. Il punto, dunque, è capire chi saranno i beneficiari finali di tali risorse.
Il Pniec non è coerente con gli obiettivi dell’Italia – Altro tema è quello dell’energia. Nel bilancio dei due anni di governo, l’esecutivo inserisce anche l’adozione del Piano nazionale integrato Energia e Clima. Solo che la versione rivista e corretta del Pniec, inviata a Bruxelles a luglio 2024 (quindi in tempo), non riesce a colmare tutte le lacune del testo precedente indicate dalla Commissione. Alcuni obiettivi di riduzione delle emissioni e di assorbimento di gas serra, infatti, non verranno raggiunti. L’Italia dovrebbe ridurre del 43,7% al 2030 (rispetto al 2005) le emissioni nei settori coperti dall’Effort Sharing Regulation (Esr), ossia trasporti, civile, agricoltura, rifiuti e piccola-media industria. Nella proposta definitiva di Pniec, però, anche considerando sia le misure già programmate sia quelle ancora in via di definizione, si arriva comunque a un taglio del 40,6 per cento. Un altro punto critico riguarda gli assorbimenti di anidride carbonica nel settore dell’uso e del cambiamento di uso del suolo e della silvicoltura (LULUCF). L’obiettivo da raggiungere per l’Italia è un assorbimento di 35,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente al 2030, ma sia lo scenario attuale sia quello che prevede l’attuazione delle nuove misure porta a un significativamente più basso 28,4.
Rinnovabili: il gap tra target ambiziosi e politiche per realizzarli – Nel bilancio del governo non potevano mancare le rinnovabili. Al 2030, l’Italia dovrebbe raggiungere il 38,7% come quota Fer nei consumi lordi di energia e con le nuove misure conta di arrivare a 39,4%. Solo che questa ambizione non è supportata dallo sviluppo di un quadro coerente di politiche. Nelle slide, il governo Meloni ricorda di aver sbloccato 56 impianti eolici e agrivoltaici, ma sono centinaia i progetti ancora al palo. Da gennaio 2024, soprattutto grazie al fotovoltaico, sono stati installati quasi 5 gigawatt di nuova potenza (bisogna arrivare a 8 GW all’anno, che aumentano per ogni anno in cui non si raggiunge questo target). Dopo un decennio di paralisi, certamente qualcosa si è mosso – anche se con limiti e ritardi – sul fronte della semplificazione delle procedure e delle nuove regole sulle aste. Ad oggi, però, il settore aspetta l’attuazione dei decreti per gli incentivi e sono diverse le perplessità sul decreto Aree Idonee, con cui il ministero dell’Ambiente ha affidato alle Regioni il compito di individuare le aree dove poter installare gli impianti. Si dovranno seguire dei criteri, ma il settore che gli investitori saranno frenati dall’incertezza sulla direzione che prenderà ciascuna Regione, con un conseguente ed ennesimo stallo. Il governo Meloni, poi, cita i 2,2 miliardi di euro in due anni per le comunità energetiche. Anche in questo caso si tratta di risorse del Pnrr destinati a comunità energetiche e gruppo di autoconsumo nei comuni sotto i 5mila abitanti. Sono disponibili, ma non ancora nelle mani delle Cer che, dopo il passaggio dal regime sperimentale alla nuova normativa, avvenuto a inizio 2024 con il decreto Cacer, hanno dovuto riorganizzarsi per chiedere gli incentivi. Solo tra qualche mese sarà possibile capire in che misura siano aumentate le 154 forme di energia condivisa presenti (rispetto ad un potenziale stimato di 400) con il vecchio regime sperimentale.
I paradossi sui fondi per il dissesto idrogeologico – Il governo ricorda anche gli stanziamenti per la lotta al dissesto e per la gestione delle emergenze. In modo particolare i 6,5 miliardi destinati a Emilia-Romagna, Toscana e Marche per le alluvioni del 2023 e lo stanziamento di oltre un miliardo nel 2024 contro il dissesto idrogeologico. Come si evince da queste cifre, si continua a spendere molto di più per le emergenze che in prevenzione. Il risultato è che i soldi erogati non sono mai abbastanza, arrivano o sono spesi in ritardo e si continua ad assistere a scontri politici, come insegna il caso dell’Emilia-Romagna. D’altronde, ha scritto la Corte dei Conti a maggio 2023, dal 1999 al 2009 sono stati finanziati 6mila progetti per 7 miliardi di euro, a fronte di richieste per la messa in sicurezza del territorio per un ammontare di 26 miliardi. Una politica di cui si sta pagando il prezzo negli ultimi anni ma che, evidentemente, si fa fatica ad abbandonare. L’esecutivo cita un miliardo di euro messo a disposizione nel 2024. Si vedrà quanto e come saranno spesi, ma va ricordato che nel rimodulare il Pnrr, nel 2023, il Governo Meloni ha dimezzato i fondi per il dissesto, passati da 2,49 miliardi a 1,2 miliardi. Perché? Impossibile, secondo l’esecutivo, riuscire a utilizzare entro il 2026 (anno di scadenza del Pnrr) anche la quota restante, di circa 1,3 miliardi di euro. Un paradosso nel Paese dove il 94% dei comuni è a rischio idrogeologico e dove regioni come Emilia-Romagna, Marche e Toscana erano già alle prese con alluvioni disastrose.