La tassa sugli extraprofitti delle banche che forse c’è e forse no, il caso Intesa Sanpaolo, le relative problematiche di cyber security bancaria: nel momento in cui gli istituti di credito sembrano essere nell’occhio del ciclone, torna in libreria – a dieci anni esatti dalla prima uscita – la nuova edizione aggiornata e ampliata del libro che ha fatto tremare il sistema bancario italiano, denunciandone i segreti, le strategie e le sistematiche scorrettezze ai danni del correntista: Io so e ho le prove – 10 anni dopo. Così le banche imbrogliano il correntista, dell’ex manager “pentito” Vincenzo Imperatore (in libreria dal 22 ottobre, 196 pagine, 16 €)

La falla dei sistemi di sicurezza dati delle banche

Il caso dell’impiegato della filiale di Banca Intesa-San Paolo di Bitonto che ha spiato le anagrafiche e i comportamenti bancari di politici e vip è solo la punta dell’iceberg di una falla dei sistemi di sicurezza dei dati molto profonda all’interno del sistema bancario. Skimming, trashing, sniffing, boxing, phishing: che confusione per dire che si tratta di tecniche utilizzate dalla criminalità per impossessarsi dei dati dei clienti delle banche per attività di dossieraggio o per truffare i possessori di carte di credito o svuotare il loro conto corrente.

Secondo diverse fonti, nel 2023 ci sono stati, in tutto il mondo, oltre 10 milioni di casi di truffe di questo genere! Cosa deve fare, in tal caso, un cittadino? Di solito le domande che mi pongono i cittadini truffati sono tre. Innanzitutto mi chiedono: “Come dobbiamo agire se la nostra carta di credito o il nostro conto corrente è stato oggetto di una frode?” Una domanda che nasce da un comportamento ostruzionistico del bancario di filiale. L’arroganza dei bancari è il segnale della loro mediocrità professionale e della loro cieca vanità. I loro deliri di onnipotenza nascondono seri problemi di integrazione in un contesto sociale e civile completamente mutato rispetto a dieci anni fa. Perché tutti coloro che sono stati frodati hanno ricevuto la stessa risposta dall’impiegato di turno che, abituato ad arrampicarsi sugli specchi della deresponsabilizzazione, assume un atteggiamento urticante e difensivo: «Non è colpa della banca!» dichiara.

Chiariamo allora a chi non lo sapesse (tanti) che, quando il cliente prende tutti gli accorgimenti necessari a garantire la riservatezza dei dati del conto corrente, la custodia della carta e la segretezza del Pin, la banca è tenuta al rimborso di quanto frodato! Lo ha stabilito il decreto legislativo n. 11/2010, secondo il quale – e in particolare si veda l’articolo 5 – «il consenso del pagatore è un elemento necessario per la corretta esecuzione di un’operazione di pagamento. In assenza del consenso, un’operazione di pagamento non può considerarsi autorizzata».

L’articolo 10 dello stesso decreto prevede, addirittura, l’inversione dell’onere della prova: in tutti quei casi in cui il cliente disconosca di aver compiuto una determinata operazione, incomberà sulla banca la responsabilità di dimostrare la liceità dell’operazione. Il testo di tale articolo infatti recita: «Qualora l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l’operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata. Inoltre deve provare che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti».

La seconda si riferisce ai modi per contrastare il bancario di filiale che non conosce la normativa e mostra i “muscoli” al cliente, che ugualmente la ignora: «Quale importo mi deve essere rimborsato dalla banca in caso di truffa?».

Secondo l’articolo 11, la banca deve corrispondere «immediatamente al cliente tutte le somme oggetto di un’operazione di pagamento per la quale egli non ha mai prestato il proprio consenso». Controllate però sempre le condizioni contrattuali: alcune banche, ad esempio, prevedono una franchigia in caso di clonazione o di uso fraudolento della carta di credito. In altri casi la franchigia può essere rimossa aumentando la sicurezza della carta, ad esempio attivando servizi di avviso tramite email o sms oppure un’apposita copertura assicurativa.

Veniamo ora alla terza e ultima domanda: “quali passi è bene effettuare appena ci accorgiamo che ci sono stati sottratti dei soldi fraudolentemente?” La prima cosa da fare, anche se si tratta solo di operazioni sospette, è contattare il numero verde o la filiale per bloccare immediatamente l’operatività ed evitare eventuali ulteriori debiti. Poi occorre recarsi al comando dei Carabinieri più vicino per effettuare una denuncia di frode dal conto corrente o su carta di credito, dichiarando tutte le operazioni sospette. È importante che la denuncia venga fatta tempestivamente, poiché in caso di denuncia tardiva la banca potrebbe decidere di non rimborsare le somme sottratte. Successivamente, con la denuncia in mano, bisogna recarsi all’ufficio postale o presso la banca di competenza per effettuare il disconoscimento delle operazioni improprie e confermare il rifiuto con il blocco immediato della operatività del conto o della carta. Non limitatevi a rivolgervi alla vostra filiale: scrivete anche agli organi di controllo centrali sotto forma di reclamo presso lo sportello, allegando tutti i documenti richiesti (denuncia, disconoscimento eccetera). Se l’istituto rifiuta il rimborso, è possibile ricorrere all’Arbitro Bancario e Finanziario (Abf), il sistema di risoluzione delle controversie della Banca d’Italia. Il ricorso all’Abf costa solo 20 euro, somma che sarà poi restituita al ricorrente nel caso in cui gli venga data ragione. Se anche l’Abf non accoglie il reclamo (capita, se a decidere è un organo gestito da Bankitalia, i cui soci sono proprio le banche), c’è un’ultima spiaggia: ricorrere alla giustizia ordinaria.

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