Cinema

L’espiazione di papà James Franco, americano dolente nella Napoli terra di confine. Luci e ombre di Hey Joe, il nuovo dramma di Claudio Giovannesi

di Anna Maria Pasetti

Un padre, un figlio e le macerie private e pubbliche della guerra che si propagano nel tempo. Al suo quinto lungometraggio di finzione, Claudio Giovannesi si confronta con una materia tanto elevata quanto complessa, che si articola in un melodramma ad alto tasso emotivo immerso nelle radici criminali della Napoli degli ultimi: gli eredi delle miserie umane del 1944 ritrovati a inizio anni ’70. Si colloca infatti nel 1971 la vicenda narrata in Hey Joe, selezionato alla 19ma Festa del Cinema di Roma in prima mondiale nella sezione Grand Public, dove Joe indica l’americano qualunque così denominato dagli italiani liberati dagli Alleati nel ’44; è in tale situazione storica e sociale che, reciprocamente spinti da bisogni basilari come la fame e l’amore, il giovanissimo marinaio Dean Barry incontra e amoreggia con la coetanea Lucia. Nove mesi dopo nasce Enzo, ma quando ciò avviene Dean è già rincasato nel New Jersey. Lo conoscerà anni dopo, forse troppi per fungere ancora da padre, o forse no: il suo status di uomo fallito, veterano di più guerre, disoccupato e alcolizzato sembrano deterrenti alle buone intenzioni che lo spingono a Napoli alla scoperta di qualcosa che neppure si immaginava.

Per quanto sembri attingere a una fonte letteraria, Hey Joe in realtà è frutto di un’idea basata sullo spunto di una storia vera incrociata da Maurizio Braucci che lui stesso con Massimo Gaudioso hanno steso con Giovannesi in sceneggiatura: penne partenopee che ben conoscono la materia, da Gomorra in giù, passando appunto da quella altrettanto “savianesca” Paranza dei bambini che lo stesso regista romano portò sul grande schermo nel 2019. Ma stavolta Giovannesi ha voluto guardare oltre, indietro e avanti nella Storia, passando dai logorii deprimenti della East Coast a quelli più vivaci ma assai più criminali dei Quartieri Spagnoli, mantenendo però intanto il suo cinema squisitamente umanista.

“Abbiamo voluto raccontare la relazione con la Storia attraverso la relazione privata tra un padre e un figlio appartenenti a due mondi non solo diversi ma anche connessi rispettivamente al nuovo e al vecchio mondo. E il confine tra questi mondi, diciamo la frontiera della Storia, è proprio la città di Napoli”, sottolinea il regista. Dentro si trova di tutto, forse troppo: la solidarietà così come la guerra fra miserabili, l’arte di arrangiarsi, l’accettazione del destino, il senso della responsabilità e di colpa, soprattutto il desiderio di riscatto e di riabilitazione specie affettiva, laddove è soprattutto il padre chiamato a compiere il proprio percorso di formazione. A tenere alto e solido il ruolo principale in questo Bildungsroman è il talento di James Franco, protagonista e punto di vista assoluto del film, il cui volto sempre bellissimo è sostenuto da un corpo massificato, appesantito da assai più vizi che virtù.

“Il mio personaggio incarna il concetto che è sempre possibile cambiare vita, basta saper riconoscere le opportunità che si presentano con più frequenza di quanto possiamo immaginare. Anche io, quando ero giovane, pensavo il successo potesse soddisfare ogni mio desiderio, crescendo naturalmente il paradigma è cambiato: oggi ritengo le cose principali risiedano nei legami d’affetto, nella solidarietà reciproca, nel perseguire la propria maturità spirituale”, spiega Franco. L’attore californiano, che parzialmente qui troviamo recitare anche in italiano, è credibile nei panni di Dean, consumato dalla vita ma determinato a venire a patti con la propria coscienza: un padre incapace ma che impara velocemente il “mestiere” grazie all’incontro con la giovane Bambi/Angela (l’esordiente sul big screen Giulia Ercolini), facendosi poi guidare dal suo stesso figlio Enzo (Francesco Di Napoli, che Giovannesi fece esordire da protagonista ne La paranza dei bambini). Giovannesi, che si è avvalso delle calde luci di Daniele Ciprì alla fotografia così come del sapiente montaggio di Trepiccione, riesce a intessere abbastanza bene – ma non perfettamente – con la propria regia i fili drammaturgico-narrativi del racconto, ma è soprattutto negli ultimi venti minuti che il film prende il volo: la sottrazione fa da maestra, i silenzi come gli sguardi sanno di poesia, il gesto cinematografico ritrova la sua forma più epica. Hey Joe uscirà nei cinema italiani il 28 novembre.

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