Alla fine, su tutta questa storia dei centri di identificazione, trattenimento dei richiedenti asilo, CPR e detenzione a Shejin e Gjader in Albania hanno forse ragione Luca e Paolo a DiMartedì. L’obiettivo di tutta questa operazione è “fare casino” ed emergerne trionfanti avendo fatto finta di aver trovato una soluzione. In effetti, a stretto rigor di logica, perché inviare in Albania pochi migranti ripescati nel Mediterraneo a costi esorbitanti; fare le operazioni che si potrebbero fare in Italia, con l’intento di rispedire con procedura accelerate gli interessati nei loro paesi, che devono però essere “sicuri”; perché correre il serio rischio di violare varie normative internazionali, europee e nazionali in ognuna delle tappe del processo, come si è visto in mondovisione dopo la decisione del Tribunale di Roma di non convalidare i trasferimenti in quanto non poteva essere applicata ai 12 migranti la suddetta procedura accelerata?
La risposta mi pare chiara: l’obiettivo non è quello di limitare al massimo gli arrivi illegali e rischiosi e aprire la strada a una migrazione ordinata, basata anche sui bisogni delle nostre società ed economie oltre che alla solidarietà. L’obiettivo è rafforzare il consenso già ottenuto con campagne intense durate anni contro l’invasione di migranti e stranieri per difendere la “nazione” e l’imposizione di un approccio culturale che ci divide, vede tutto nero e minaccioso, e alla fine peggiora una situazione già di per sé non facile di gestione di una società sempre più complessa ed esposta a sfide globali, dalle guerre agli sconvolgimenti del clima. E già che ci siamo, anche indebolire e delegittimare la magistratura, in perfetto stile Orban.
Ho sempre pensato che una delle debolezze di Giorgia Meloni e del suo governo fosse l’assenza di pragmatismo e di capacità di guardare alla realtà, in una parola un atteggiamento ideologico e reazionario nel campo dei diritti, dell’economia (basata su favori agli amici e fossili) e soprattutto delle migrazioni, che in buona sostanza è abbastanza indifferente alla soluzione dei problemi e persegue il consenso, pompato da media amici e disinformazione. È esattamente per questo motivo, che sulla penosa storia dei centri in Albania si deve cercare di portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’assurdità di una soluzione che almeno in teoria sembra essere “facile” ma che in realtà, a parte i sacrosanti vincoli giuridici, presenta enormi difficoltà di applicazione ed è largamente inefficiente: questo è importante non solo per l’Italia, ma anche per l’Ue.
In questi giorni si sono moltiplicati i segnali che l’Ue e in particolare la Presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen e il Parlamento europeo, finora baluardi di una visione tutto sommato umanista delle migrazioni e di proposte legislative che hanno cercato di mantenere la priorità del rispetto dei diritti umani e di un’integrazione ordinata, stiano abbassando la guardia di fronte alla pressione della destra estrema di costruire una “fortezza Europa”; in particolare la Presidente designata della Commissione che deve ancora ricevere l’approvazione della sua squadra, dichiara sempre più apertamente di essere disponibile a considerare soluzioni, come “l’appalto” sistematico della gestione dei migranti a paesi fuori dalla Ue e la creazione di “hub” fuori dalla Ue per trattare le richieste di asilo.
E anche al PE si segnalano forti scricchiolii, come dimostrato dal voto sulla risoluzione che accompagna il voto sul bilancio annuale di questa settimana nel quale il Partito Popolare, guidato dal tedesco Weber, ha addirittura votato a favore un emendamento di Afd a favore di soldi europei per muri e hotspot fuori dalla Ue. La risoluzione è stata poi respinta per veti incrociati, ma si tratta di un segnale davvero preoccupante.
Lo ricordate? Aveva iniziato la signora Merkel nel 2016, riuscendo a portare tutta la Ue a cedere alla Turchia di Erdogan 6 miliardi di euro, pur se concessi con qualche condizione e per lo più ad organizzazioni specifiche per la gestione dell’accoglienza; è seguito l’accordo con la Libia da parte dell’Italia di Gentiloni del 2017 e più di recente il tentativo fallito grazie ai tribunali del primo ministro britannico di origine indiana Sunak di spedire i migranti nientemeno che in Rwanda; arriva poi Giorgia Meloni che ha convinto la Presidente Von der Leyen e la Ue a concludere un accordo con Egitto, Mauritania e soprattutto Tunisia che costerà circa un miliardo; un fiume di denaro dei contribuenti europei ad un autocrata che ha soppresso la Primavera tunisina e di cui più di cento milioni sono dedicati alla formazione della corrotta Guardia Nazionale Tunisina, la quale, come provato da un’inchiesta del Guardian, si è resa e si rende colpevole di indicibili crudeltà verso i migranti africani, regolarmente abbandonati nel deserto. Certo, non stupisce che gli sbarchi si siano ridotti del 40% utilizzando questi metodi.
Arriviamo così al Protocollo con l’Albania, che presenta molteplici problemi pratici e giuridici; la decisione del Tribunale di Roma, come sottolineato da molti giuristi, è un atto dovuto perché le interpretazioni delle norme comunitarie formulate dalla Corte di Giustizia europea sono immediatamente vincolanti.
La grancassa di giuristi e sedicenti esperti vicini al governo dicono che i giudici italiani non hanno ben interpretato la decisione della Corte che si è pronunciata su richiesta di un giudice della Repubblica Ceca chiamato a decidere sul ricorso di un cittadino moldavo la cui richiesta di asilo era stata respinta. Ma mi pare che siano loro a prendere un abbaglio: per la Corte Europea la decisione su quali siano gli Stati sicuri non è totalmente nelle mani di decisioni politiche da parte degli stati nazionali e soprattutto, per potere utilizzare la procedura accelerata, “tutto” lo Stato in questione deve essere senza rischi per il richiedente asilo che ne fa domanda. Attenzione: questo non significa, purtroppo, che nessuno proveniente da quegli Stati possa essere respinto. Ma che la procedura sommaria che si vuole applicare ai migranti o richiedenti asilo da spedire in Albania non può essere applicata. Questa situazione non può cambiare con la semplice adozione della lista dei paesi sedicenti sicuri attraverso un decreto legge invece che una regola amministrativa. Appunto perché gli Stati membri non sono liberi di definire a loro piacimento quando uno stato terzo è sicuro o no.
Tutto questo però non basta. Come ben dimostra il caso dei migranti abbandonati nel deserto, le indicibili sofferenze di quelli rinchiusi in Libia, lo scandalo dei primi cittadini afghani colpevoli di delitti in Germania riportati in Afghanistan, ma anche non è solo con la forza del diritto che si riuscirà a resistere a questa ondata di ottuso, costoso e inefficace rifiuto di costruire una società armoniosa e plurale e anche di rispondere alle necessità di una forza lavoro ben inquadrata e formata. Bisognerà rispondere politicamente e raccogliere consenso intorno ad opzioni politiche più realiste ed umane che sono perfettamente possibili: come ha ben spiegato il 9 ottobre scorso il premier spagnolo Pedro Sanchez, presentando alle Cortes con un magnifico discorso pieno di concretezza e ottimismo, che si pone agli antipodi delle fosche e impotenti dichiarazioni dei nostri ministri, il suo piano di legalizzazione e integrazione di centinaia di migliaia di migranti clandestini in Spagna.
I due strumenti per contrastare la decrescita demografica sono le nascite e le migrazioni e per rispondere a questa sfida che è già evidente oggi la strada maestra è smettere di mentire a sé stessi ai propri cittadini e accettare di gestire al meglio un fenomeno che nessuna frontiera potrà mai bloccare. Ricordiamoci le sue parole, perfettamente adatte all’Italia: “Noi spagnoli siamo figli della migrazione. Non saremo i genitori della xenofobia. Creiamo una politica migratoria di cui i nostri anziani possano essere orgogliosi. E creiamo una politica migratoria che garantisca il futuro dei loro nipoti”.