Altro che ‘Temptation Island’ al governo. In quel ‘pederasta’ che brucia nel nucleo più caldo della vicenda Spano-Giuli, e nel pedigree culturale dei principali personaggi coinvolti, traspaiono le questioni di sostanza relative alla cosiddetta ‘controegemonia’ della destra italiana.
L’insulto, come noto, compare in una chat di Fratelli d’Italia che riportava le reazioni ‘di pancia’ della base romana, ovvero del mondo vitale della stessa presidente del Consiglio e dei suoi più fidati collaboratori, alla nomina del nuovo capogabinetto ‘dimissionato’ del nuovo ministro. Questo è soltanto l’ultimo caso legato alla gestione della cultura da parte del nuovo governo, eppure uno dei più significativi. Ben al di là della ‘disinvoltura’ di linguaggio, ovvero pure di una vetusta omofobia. Nella vicenda Spano entrano in scena, per esempio, almeno due sorelle (Arianna Meloni sempre sullo sfondo e, in prima fila, Antonella Giuli), a sottolineare subito l’assetto familistico di una nuova classe dirigente che proclama di voler abbattere ‘l’amichettismo’ di sinistra.
Ancor più curioso l’impasto originale dei duellanti meloniani sullo sfondo: il potente sottosegretario Tullio Fazzolari, con il suo clan di ‘intellettuali’ delle famiglie più nere della destra; il neo-ministro Alessandro Giuli, ’evoliano’ (da Julius Evola, nda) che s’è inventato da poco ‘gramsciano’ di destra, non a caso già bersaglio della satira per la fumosità dei discorsi pubblici (le supercazzole, copyright Dagospia); e, ancora, il commissario politico dell’Eterno Ritorno di Nietzsche, Federico Mollicone, punto di riferimento culturale del partito di Meloni che vanta un blog intitolato appunto ‘aforisma 341’.
Ora, detto con il massimo rispetto per i ‘padri nobili’ e i relativi sistemi di pensiero radicali, e concedendo pure che esoterismi e neo-paganesimo abbiano ancora senso nel 2025, ripetere come mantra certi aforismi de ‘La Gaia Scienza’, ovvero le basi del superuomo, e le varie teorie del difensore della ‘Razza spirituale’, fa pensare inequivocabilmente a un orizzonte ‘nero-nero’, le cui prime tragiche conseguenze storiche tutti conoscono.
Siamo sicuri che possa esprimersi su queste basi una ‘controegemonia’ culturale? E i sette e rotti milioni di italiani che hanno consegnato il governo del Paese al partito di Giorgia Meloni, pur certo in gran parte per contrastare la presa ‘egemonica’ della sinistra ex comunista, si possono poi riconoscere in queste radici?
Secondo le ricerche sociologiche, si dichiara ‘di destra’ il 39 per cento degli elettori di Fratelli d’Italia, quasi altrettanti si autocollocano nel ‘centro-destra’ (è il corpaccione dei moderati che avevano trovato in Berlusconi il punto di riferimento). Come noto, il flusso elettorale decisivo, che Demopolis valutò in 3 milioni e 800mila voti, è arrivato da chi aveva scelto la Lega di Salvini alle precedenti elezioni.
Dunque casomai è quel ‘pederasta’ che è costato il posto alla canonica ‘ultima ruota del carro’, il consigliere romano di Fratelli d’Italia Fabrizio Busnego, a riflettere ossessioni condivise di una parte d’italiani che si riconoscono in posizioni più o meno ‘orbaniane’, magari bruscamente espresse alla Vannacci, altro che Evola o Nietzsche. Paradossalmente per questa via si tocca proprio il punto dell’egemonia presunta della sinistra, e della grande battaglia delle idee che invece stenta ad aprirsi. Gli eredi di quella tradizione che si richiama davvero anche a Gramsci purtroppo si perdono nelle quisquilie ‘politicistiche’ e/o di potere, invece di puntare sulla costruzione di un vero ‘campo largo’ per collaborare con tutti coloro che si riconoscono nei valori fondanti del solidarismo e del comunitarismo, una sorta di nuovo ‘compromesso storico’, per dirla con il linguaggio del tanto rimpianto – e distorto fin quasi al santino – Enrico Berlinguer.
Il vaccino contro una deriva alla Orban, guarda caso, può nascere solo dagli anticorpi culturali ed è la stessa Ungheria a insegnarlo. Pensate che lo spettacolo teatrale forse più bello e di certo applaudito con più entusiasmo quest’estate in giro per l’Europa, nei festival di maggior peso, da Vienna a Parigi, da Atene a Berlino, s’intitola ‘Parallax’ ed è nato dal Proton di Budapest. È il piccolo teatro fondato dal regista ungherese Kornél Mundruczò, che peraltro ha firmato (con la moglie autrice, Kata Wéber) anche vari film di successo, tra cui un primo di lingua inglese, ‘Pieces of woman’. Insomma, Mundruczò è uno che potrebbe tranquillamente scappare ovunque, anche a Hollywood, se non appunto in Francia, dove trova sempre interlocutori di livello, come il prestigioso Odéon che ha programmato ‘Parallax’.
Costruita in un interno domestico, su un mix di riprese dal vivo e recitazione tradizionale, ‘Parallax’ racconta una storia che incrocia il racconto di tre generazioni di ebrei ungheresi, a partire dalla nonna sopravvissuta all’Olocausto, con l’ipocrisia della società ‘orbaniana’ nei confronti degli omosessuali. Non spoileriamo oltre, dato che a marzo Parallax sarà in scena anche a Milano, Piccolo Teatro, e tutti i Busnego e i Vannacci dovrebbero essere condannati a vederselo.
In questi giorni la produttrice Dóra Bücki, co-fondatrice del Proton, lavora ancora di gran lena: non è facile tenere aperto e operativo un teatro in pieno regime orbaniano. Basti pensare che per allestire questo magnifico ’Parallax’ ci hanno messo più di tre anni, e l’Ungheria non contribuisce nemmeno con un euro al Proton. Registi, autori e artisti (straordinari davvero, tra cui Lili Monori, già icona femminista di metà anni ’70 nel film Nine Months di Márta Mészáros) hanno comunque potuto festeggiare a Budapest, il 27 aprile dell’anno scorso, la 100esima rappresentazione di ‘Imitation of Life’, primo successo di casa Proton.
Ecco, per contrastare l’arrembaggio di questa destra e la deriva orbaniana, è fondamentale il contributo che possono dare gli artisti, e in Italia non mancano anche quelli veri e impegnati, anche solo nel teatro, seppure mal sopportati o tenuti ai margini. Ma questo è un altro discorso. Per ora: forza Proton!