Moda e Stile

2500 dollari per una t-shirt sporca e stracciata, 190 per dei collant già strappati: tra la Gen Z spopola il trend del “trashed look”, ecco cos’è

Il vintage è eticamente corretto e ammirevole, ma perde il suo valore di fronte all’onnipotente opportunismo commerciale?

di Samuele De Marchi
2500 dollari per una t-shirt sporca e stracciata, 190 per dei collant già strappati: tra la Gen Z spopola il trend del “trashed look”, ecco cos’è

Prima erano stracci da mercatino delle pulci, ora sono segno di conoscenza dell’abbigliamento e prova di una ricerca per il pezzo originale più unico possibile: il vintage si è discostato da parecchi anni dalla semplice e a tratti degradante definizione di “usato”, diventando un mercato di grande tendenza: l’azienda inglese di consulenza e analisi dati, Globaldata, stima che il mercato del second hand potrebbe arrivare a valere nel 2027 addirittura 10,1 miliardi di sterline, con un aumento in percentuale rispetto al presente del 48,9%. Più nello specifico, all’interno del macrocosmo del vintage si sta sviluppando un trend particolare e ben definito: quello del “trashed look”.

A raccontarcelo sono i fratelli Jack e Harrison Edwards di 27 e 25 anni, proprietari e gestori di 99 Vintage Store, un negozio situato a Winchester, nell’Hampshire inglese. I due parlano di quanto più un pezzo vintage è rovinato, più i suoi segni ne aumenteranno carattere e storia; strappi, buchi, rattoppi, macchie di vernice e candeggina sono tra le “cicatrici” più ricercate sui capi, ma “non tutte le maglie vengono col buco” – perdonateci la battuta – : il fratello minore Harrison dichiara infatti che ad esempio una maglia sporca di sugo non sarebbe considerata bella, concetto che viene rafforzato anche dalle parole di Harry Sims, gestore del negozio di vintage londinese Hartex, che giustifica il trend dicendo che “non è un pass gratuito per vendere vestiti sporchi, ma alcune cose li migliorano. Una maglietta bianca coperta di vecchia pittura? Ne aggiunge bellezza”.

Sembra dunque che il minimo comune denominatore di questo stile trasandato siano le tracce del lavoro e del tempo che passa e non una qualsiasi macchia di utilizzo, ma al di là di questo, come il mercato della moda ci ha da tempo abituati, sia i privati che i brand si approfittano delle tendenze per massimizzare i guadagni. Hanno infatti fatto parlare di sé gli annunci comparsi su un noto sito per l’acquisto di abbigliamento di semplici: T-shirt completamente imbrattate o lacerate, quasi al punto di essere importabili, a prezzi che toccano i 2500 dollari. Se già è la cifra a sconvolgere, lo fa ancora di più pensare all’alta probabilità che quelle magliette siano state distrutte appositamente senza essere “autentiche”, sfruttando così il mercato, portando inflazione verso il vintage e addirittura avvicinandosi concettualmente al falso.

Spostandoci invece sui marchi di abbigliamento, anche loro non mancano all’appello quando si parla di effetto “distressed” o di capi rovinati, con prodotti che a volte sono al limite dell’umiliazione per il portatore: partiamo dal 2020, quando Gucci propose per la sua fall-winter un paio di jeans sporchi, in più parti, di erba, al prezzo di 1200 dollari: un modo per tornare bambini, sicuramente, ma con il portafoglio di un adulto. Nello stesso anno, la casa di moda nostrana ha messo in vendita anche un paio di collant già strappati e smagliati a 190 dollari, andati rapidamente sold out, caso che il profilo Instagram @diet_prada – visto come un giustiziere della moda sui social – commentò chiedendo “a chiunque abbia pagato 190$ per queste calze pre-strappate di Gucci…va tutto bene?”.

Spostandoci invece su esempi più recenti, il brand francese Louis-Gabriel Nouchi ha proposto magliette e felpe con grosse macchie di sudore stampate attorno al collo e sotto le ascelle, che vanno dalle 150 alle 280 sterline, ma il caso che ha colpito di più è il paio di jeans macchiati di pipì di JordanLuca: il marchio italo-britannico, fondato Jordan Bowen e Luca Marchetto, ha ribaltato internet e gli appassionati di moda con questo pezzo, che vanta una chiara e fiera chiazza di urina sul cavallo del pantalone, in addirittura due varianti di colore. A questo punto non sarebbe quasi neanche da specificare, ma a scioccare maggiormente il pubblico è stato ancora una volta il costo, che oscilla tra i 500 e 600 euro, prezzo che comunque per molti non vale tanto quanto la propria dignità.

Al di là delle palesi provocazioni e delle frasi cliché come “potevo farlo anche io”, il trattamento di alcuni capi racconta una storia, un utilizzo e un concetto, ma nel sistema della moda l’opportunismo commerciale è sempre dietro l’angolo. È necessario dunque capire quanto vale la pena spendere per un pezzo vissuto, ma non dalla tua vita.

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