Non è il caso di immaginarlo come un pericolosissimo hacker, uno di quei nerd relegati nell’angolo di una cantinola tra schermi, pc, cavi e scatole infernali, immerso in una realtà quasi distopica e governata da una fitta rete di codici e linguaggi informatici incomprensibili. Non siamo di fronte a un abile pirata informatico che trascorre la giornata a violare firewall e reti protette per rubare segreti di stato o accedere ai conti di multinazionali. No, si tratta di qualcosa di molto più comune e alla portata di chiunque lavori all’interno di un’istituzione finanziaria.

Si parla di un semplice impiegato di banca, un umile e probabilmente sfigato impiegato che, come tutti gli impiegati di una banca, dall’ultimo dei commessi fino ad arrivare all’amministratore delegato, può, senza alcun limite o vincolo, interrogare tutte le anagrafiche che vuole, da Papa Bergoglio fino al suo antipatico vicino di casa.

Per chi non ha mai avuto modo di conoscere quei sistemi, tra cui anche i giornalisti, questo potrebbe sembrare uno scenario scandaloso o addirittura assurdo. È comprensibile che possa apparire come un abuso, come nel caso dell’impiegato della filiale di Bitonto di Banca Intesa che, in circa tre mesi, ha eseguito all’incirca settemila interrogazioni per ottenere informazioni su politici, vip, influencer e comuni cittadini, violando quella che sembra essere la privacy di chiunque.

Ma la realtà è che è estremamente facile fare quello che ha fatto quell’impiegato. Nessuna meraviglia per chi ha vissuto 25 anni all’interno di quel mondo e ha avuto modo di conoscere quei sistemi. Succede, così come descritto in Io so e ho le prove – 10 anni dopo, in libreria in questi giorni, in qualsiasi banca. Magari non tutti sono interessati a curiosare sulle vicende della presidente del Consiglio o di un campione sportivo come Marco Tardelli, ma è indubbio che molti sfruttino l’anagrafe della banca per ottenere informazioni su determinati nominativi per cui hanno un interesse specifico o semplice curiosità.

Un esempio banale: devo andare a cena in quel ristorante alla moda dove è appena passato un noto vip? Prima di prenotare, controllo se nell’anagrafe della banca esistono delle evidenze che possano fornirmi qualche informazione utile, e solo successivamente prendo una decisione.

E se il Napoli ha appena acquistato Lukaku? Allora cerco di vedere se per caso il centravanti belga ha rapporti con un’altra filiale della banca in cui lavoro e magari inizio a fare un po’ di web scraping per ottenere ulteriori dettagli.

L’anagrafe di una banca è accessibile a tutti i dipendenti per finalità commerciali e di gestione del rischio. E non è affatto necessario che un cittadino sia cliente della banca per essere anagrafato: l’anagrafe può includere anche quei nominativi per cui si potrebbero intraprendere attività di sviluppo commerciale oppure per cui la banca ha ricevuto segnalazioni (attraverso i media o referall diretti) di potenziali rischi.

Esiste, inoltre, una modalità di raccogliere informazioni indirettamente, attraverso i cosiddetti “collegamenti”, che servono a identificare e tracciare i rapporti finanziari e giuridici tra persone fisiche, come un marito e una moglie, persone giuridiche, come un socio di un’azienda, e altre entità come associazioni o fondazioni.

Immaginiamo il caso di un senatore italiano, la cui moglie è cliente della banca. Pur non avendo alcun conto corrente o rapporto diretto con l’istituto di credito, è probabile che la banca possieda alcune informazioni anche sul senatore stesso. E se quel senatore avesse un fratello che gioca a calcio in Inghilterra? Probabilmente, per effetto dei “collegamenti” anagrafici, quella banca avrebbe informazioni anche sul fratello del senatore. E così via, come in un gioco in stile ‘spy game’, in cui l’obiettivo è scoprire l’assassino attraverso un intricato sistema di camere comunicanti

In fin dei conti, bisogna farsene una ragione: i bancari sanno tutto di noi. Sono il Grande Fratello silenzioso e onnipresente, sempre pronto a sfogliare le nostre vite con un semplice clic.

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