L’agenzia per l’amministrazione dei beni confiscati la immaginiamo e la immaginavamo esattamente l’opposto di come è ora“. Così il procuratore di Napoli Nicola Gratteri esordisce nel suo lungo intervento al convegno “Sequestro, confisca e valorizzazione delle aziende e dei beni confiscati alla camorra”, promosso dall’Associazione Nazionale Magistrati e da Agrorinasce.

Fulcro del dibattito è la valorizzazione dell’immenso patrimonio confiscato alle mafie e alla criminalità organizzata che, tra terreni, ville, macchine di lusso e conti correnti, ammontano a diversi milioni di euro. Ma questa grandissima mole di beni rischia di essere inutilizzata a causa della normativa vigente, della mancanza di personale competente e specializzato e degli onnipresenti intoppi burocratici, come denuncia Gratteri: “L’aggressione ai patrimoni di origine illecita è considerata nelle moderne legislazioni strumento di sicuro impatto nel contrasto alla criminalità organizzata. Se da un lato vi è la piena consapevolezza che strumento fondamentale per la lotta al crimine mafioso ed economico sia l’aggressione ai beni di provenienza illecita, solo in un tempo relativamente recente, si è compresa l’importanza di rimettere in un circuito legale tali proventi, una volta che lo Stato se ne sia appropriato definitivamente”.

Il magistrato spiega: “Si tratta di capitali che non solo devono concorrere alla ripresa economica del paese, ma soprattutto devono favorire la rinascita di un sistema imprenditoriale legale. A oggi, risulta che in Italia sono in attesa di destinazione definitiva beni per diversi milioni di euro. Tuttavia l’agenzia nazionale preposta all’amministrazione diretta di tali beni e alla programmazione della loro futura destinazione presenta non poche criticità che di fatto hanno frustrato e frustrano l’obiettivo della sua istituzione. Basti pensare – continua – all’azzeramento per lo più automatico del valore economico dell’azienda e dei beni immobili, all’indomani dei provvedimenti di sequestro. La gestione dei beni confiscati attraverso le procedure e le modalità previste dalla normativa vigente non ha prodotto gli esiti sperati. L’importanza economica che ormai ha assunto il complessivo patrimonio sottratto al crimine e in particolare la sua componente aziendale impone di garantirne quantomeno la salvaguardia, se non la redditività“.

Gratteri cita alcuni dati tratti dal sito dell’Agenzia dei beni confiscati, dati che definisce gravi e critici: “L’ingente mole di beni sequestrati, confiscati e la loro cattiva o addirittura assente utilizzazione fanno sì che uno degli scopi della disciplina, cioè quello di minare il prestigio dell’associazione criminale e di riaffermare vividamente sul territorio la cultura della legalità e della democrazia, sia frustrato. E questo determina anche un evidente danno di immagine per le istituzioni. Lo Stato appare agli occhi della collettività come incapace non solo di garantire un perfetto utilizzo dei beni, ma addirittura di provvedere anche solo alla loro conservazione”.

Il magistrato, quindi, propone alcuni punti fermi per iniziare “una inversione di tendenza” con interventi mirati, concludendo: “Solo così quella che è stata la lungimirante idea di Giovanni Falcone potrà ritenersi reale attività di aggressione ai patrimonio di origine illecita, oltre che effettivo ed efficace strumento di contrasto alla criminalità organizzata”.

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