Il tema di un diritto controverso come quello della gestazione per altri, che è riuscito a spaccare molti mondi – anche quelli del femminismo – è complesso, ma non è sanzionando e facendo diventare “reato universale” una pratica che è invece legale in ben 65 Paesi che si risolvono i problemi che sicuramente esistono.
Quando ci riferiamo al “reato universale”, cioè perseguibile in Italia anche se compiuto all’estero da cittadini o cittadine italiane, dobbiamo prima di tutto capire che questo concetto nel linguaggio giuridico neppure esiste. Infatti non esistono reati universali, ma reati perseguibili sotto la giurisdizione universale come crimini di guerra, genocidi o reati contro l’umanità, cioè reati che la comunità internazionale ritiene presentino una criminosità manifesta che giustifica una repressione ad amplissimo raggio. Ma non è certamente il caso della gestazione per altri.
La Gpa è uno strumento potente che presenta però problemi, dubbi, incertezze e difficoltà perché tocca diritti, desideri e aspettative e nello stesso tempo preoccupazioni che fanno capo a soggetti diversi. Il bilanciamento dei diritti è sempre difficile perché spesso i diritti di una parte confliggono con quelli dell’altra. Nella gestazione per altri (userò sempre questo termine per sottolineare quanto sia già stigmatizzante usare il termine utero in affitto) i soggetti portatori di diritti o che in ogni caso hanno una parte fondamentale in questa forma di procreazione assistita sono almeno tre: il bambino/a, la donna che porta avanti la gravidanza e la coppia che desidera avere un figlio e non può farlo naturalmente.
1. Quello che va maggiormente tutelato è senz’altro quello del minore, perché l’interesse del minore è considerato preminente in quasi tutti gli ordinamenti giuridici. E’ centrale il diritto a conoscere le proprie origini, così come capire se chi è nato con questa tecnica procreativa abbia complessità emotive o disagi dovuti alla separazione dopo la nascita tra mamma e bambino/a. Molti studi hanno dimostrato che i bambini nati da surrogazione non mostrano differenze in termini di adattamento psicologico, qualità delle relazioni con i genitori o sviluppo cognitivo rispetto ai bambini nati da concepimento biologico. D’altronde è evidente che nessuno verifica se un genitore abbia o no competenze genitoriali all’atto del concepimento, in qualsiasi modo avvenga. La genitorialità biologica non offre garanzie e l’essere più o meno un bravo genitore è del tutto indipendente dalle modalità del concepimento. Quanti sono i genitori biologici violenti, abbandonici e perfino abusanti?
Anche rispetto alle teorie portate avanti da molte femministe, sul legame che si può formare nei nove mesi gestazionali io mi chiedo che differenza ci sia con il parto in anonimato o ancor più con l’adozione in cui la separazione fra madre e bambino/a c’è e avviene, in questo ultimo caso, anche molto tempo dopo la nascita. Dovremmo quindi vietare anche questi istituti?
2. Il secondo soggetto è la donna che, nei Paesi in cui tale pratica è consentita legalmente, porta avanti la gravidanza per altri e non è giuridicamente considerata genitrice. I genitori a tutti gli effetti sono i genitori “intenzionali”. La donna può decidere di mettere a disposizione il proprio corpo dietro un compenso, oppure gratuitamente in modo solidale. Non nascondiamo che i problemi sono molteplici. Da un punto di vista psicologico ci si chiede come viene vissuta dalla donna, che ha ospitato per nove mesi e partorito il bambino, questa separazione.
Anche qui ci vengono in soccorso studi (Van den Akker,(2007) Golombok,e al. (2013)) che chiariscono che molte delle “surrogate gestazionali” non provano un attaccamento materno durante la gravidanza, il che facilita la separazione dal bambino dopo la nascita. E’ importante verificare che la donna che fa una scelta così delicata la faccia in assoluta libertà e consapevolezza, che non in tutti i casi – e forse non in tutti i Paesi – potrebbe essere ugualmente facile garantire. Spesso ognuno si sente in diritto di parlare di queste donne e invece non le si ascolta mai. Illuminante è il libro scritto da Serena Marchi Mio, tuo, suo, loro – Donne che partoriscono per altri che ha percorso 33.600 chilometri per incontrarle di persona e intervistarle. Un viaggio nel mondo della maternità surrogata per ascoltare chi presta il proprio utero e una parte della sua vita per partorire figli di altri. Per soldi, per interesse, per altruismo, per amicizia, per amore.
L’aspetto più difficile e più inquietante che riguarda le donne portatrici è quello della disponibilità del proprio corpo. E’ delicato stabilire quali siano i diritti disponibili dal singolo individuo: fino a che punto io posso disporre del mio corpo? Se è ovvio il limite costituito dalla decisione di danneggiare il corpo per ottenere un pagamento, come accade nella pratica abietta del traffico di organi, è altresì evidente che ci debba essere un punto nel quale al diritto soggettivo va posto un limite. “Il corpo è mio e lo gestisco io”, che fu uno slogan delle femministe della fine degli anni 60, continua ad essere valido? Fino a che punto l’autodeterminazione può arrivare? Ci si batte per difendere la scelta di portare a termine una gravidanza, oppure di decidere il proprio fine vita – il suicidio assistito, a certe condizioni, è stato ammesso dalla Corte Costituzionale; allora disporre del proprio corpo per far nascere una vita sembra che possa concretizzarsi in un reato?
Per quello che riguarda lo sfruttamento del corpo femminile, non è certo penalizzando e sanzionando che lo si contrasta, ma trovando soluzioni che garantiscano la sicurezza e tutelino da abusi e speculazioni. Di esempi e modelli ce ne sono veramente tanti.
3. L’ultimo soggetto che compone il quadro è la coppia: il desiderio della genitorialità è un desiderio fortissimo per molti e molte. La legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, il cui impianto originario negli anni è stato fortemente inciso dai ripetuti interventi della Corte Costituzionale, credo che vada assolutamente riscritta, anche rispetto alla Gpa. Il problema principale è costituito dal costo molto alto per poter iniziare questo percorso fuori dall’Italia. Solo poche persone se lo possono permettere. Anche qui gioca il fattore economico e le disuguaglianze sociali incidono fortemente.
La surrogacy presenta sicuramente tanti problemi, che crediamo possano essere risolti con una legislazione attenta e molto puntuale, ma non è introducendo il reato universale, che costituisce una forte limitazione della libera scelta, che si affronta questo tema. E, ancora più grave, non ci si preoccupa dell’esistenza di un vuoto normativo di tutela per i bambini figli di genitori di coppie omosessuali, vuoto per il quale la Corte Costituzionale con due sentenze (n. 32 e 33 del 2021) ha invitato il Parlamento a legiferare, mentre si continuano a dare risposte securitarie e ideologiche.
Come scrive Maddalena Vianello in In fondo al desiderio: “Gli amori sono tanti, come tanti sono i modi in cui bambine e bambini possono arrivare”. Spero che molti riflettano su questo.