Cinquant’anni fa, per volontà dell’allora presidente del Consiglio Aldo Moro, nasceva il ministero per i Beni culturali e ambientali, istituito con decreto-legge 14 dicembre 1974, e convertito poi in legge il 29 gennaio 1975. “Creatore” del nuovo dicastero e primo ministro della Cultura fu il giornalista e docente universitario Giovanni Spadolini, fiorentino, repubblicano, futuro capo del governo e presidente del Senato, il quale concepì una amministrazione finalmente autonoma sotto il profilo della gestione del patrimonio culturale e dell’ambiente. Fra gli interventi di maggior peso, va ricordato l’accorpamento di funzioni precedentemente divise fra altri ministeri, e cioè Antichità e Belle Arti, Accademie e Biblioteche (ministero della Pubblica Istruzione), discoteca di Stato ed editoria (presidenza del Consiglio) e Archivi di Stato (ministero degli Interni) e la legge che conferì alla Biblioteca nazionale di Roma autonomia contabile e amministrativa. Nonché quella relativa ai custodi e alle guardie notturne, figure istituite a seguito del clamoroso furto di Urbino a Palazzo Ducale, nel febbraio del 1975, quando in un sol colpo furono trafugati tre capolavori assoluti, La Muta di Raffaello, La Madonna di Senigallia e La Flagellazione di Piero della Francesca. Inoltre, l’attenzione verso le tematiche ambientali – mai così attuali – anticipò tante future battaglie per la tutela del paesaggio.
Insomma la nascita del ministero che avrebbe dovuto occuparsi del patrimonio culturale – i cui regolamenti erano fermi alle leggi di Giuseppe Bottai del 1939 e la cui gestione del Dopoguerra era affidata a un semplice sottosegretariato della Pubblica Istruzione – fu una una grande conquista, soprattutto per un paese come l’Italia ricco di testimonianze del passato. Oggi gran parte della documentazione che riguarda il grande lavoro che Spadolini compì per arrivare all’istituzione del ministero per i Beni culturali e ambientali è custodita nella Fondazione che porta il suo stesso nome e che ha sede al Pian de’ Giullari, a Firenze. Anzi per celebrare l’anniversario è stata approntata una piccola mostra documentaria che è possibile visitare su appuntamento scrivendo all’indirizzo fondazione@nuovaantologia.it oppure chiamando il numero 055.2336071.
Presidente e coordinatore delle attività della Fondazione è Cosimo Ceccuti, già stretto collaboratore di Spadolini, a sua volta docente universitario a Firenze, che volentieri evidenzia alcuni momenti salienti della nascita del ministero dedicato alla cultura. “Prima di tutto va sottolineato lo stato di disfacimento del patrimonio – dice -. Non a caso Moro preparò un decreto legge per istituire un nuovo ministero e nella storia della Repubblica era accaduto solo un’altra volta, cioè nel Dopoguerra, durante la presidenza di Luigi Einaudi, per istituire il ministero dell’Economia. Anche stavolta c’era la massima urgenza perché la situazione era disastrosa: mancava tutto. Come i sistemi d’allarme e antincendi nei musei, il personale, e quel poco che c’era era ottenuto grazie agli invalidi, tanto per fare qualche esempio. Anzi il famoso furto a Urbino nel 1975 fu perfino visto con favore da Spadolini perché affrettò lo stanziamento di nuove risorse per il ministero, nascente, giacché era stato creato coi fondi rimasti del sottosegretariato per i beni culturali del ministero della Pubblica Istruzione”. In più c’era la Biblioteca nazionale che “rischiava di chiudere“. In questa situazione quasi drammatica l’altro grande problema di Spadolini era disegnare la struttura ministeriale, racconta Ceccuti. “Per forza di cose doveva essere agile – sottolinea – Lui la concepì come un’agenzia, in cui non vi fosse spazio per la burocrazia. Per Spadolini vi erano dei cardini sui quali poggiare il nuovo ministero: tutela, fruizione e sviluppo del patrimonio”.
Oltre a questa edificazione “interna” del nuovo ministero, a Spadolini toccò misurarsi per esempio con le Regioni (e per deferenza nei loro confronti, si recò in ognuno dei capoluoghi per ascoltare richieste e consigli), con i privati, con l’associazionismo e con le poche fondazioni che allora esistevano, dovette risolvere le questioni relative alle esenzioni fiscali e alla nascita dello speciale corpo dei carabinieri per il recupero dei beni culturali: “Per esempio – ricorda ancora il professore ex segretario – la legislazione della Regione Emilia Romagna era molto avanzata sui beni culturali. Spadolini voleva che fosse concessa tutta l’autonomia possibile, ma che la parte decisionale fosse centralizzata, cioè appannaggio del ministero e dei suoi organi periferici: c’era da stabilire dei nuovi rapporti tra soggetti che già esistevano e un soggetto nuovo che invece nasceva, ma aveva più potere di tutti”. Spadolini riuscì a costruire l’ossatura del nuovo ministero in un anno e mezzo: “E ottenne più successo di quanto lui stesso all’inizio si aspettava – dice Ceccuti -. Per esempio gli archivi erano appannaggio degli Interni e lui pensava che mai il governo li avrebbe ceduti a un altro ministero. Andò a finire che il decreto legge iniziale non li prevedeva, invece la sua conversione in legge di 50 giorni dopo li affidò al nuovo dicastero, tranne i documenti segreti di Stato che rimasero agli Interni”. Fu una battaglia su più fronti, prosegue il professore, “ma quando si accese una fiammella, per esempio una lettera indirizzata a Moro in cui c’era chi si lamentava delle condizioni in cui versava Venaria Reale vicino Torino, diventata ormai una boscaglia costantemente preda di saccheggi… Allora Moro rispose dicendo che aveva appena creato un ministero e che bisognava rivolgersi a Spadolini. Oggi Venaria è meravigliosa, ma all’epoca era impraticabile. Senza contare che di lì a sette anni, nel 1981, in seguito alla tragedia di Vermicino in cui perse la vita il piccolo Alfredino Rampi, Spadolini da presidente del Consiglio istituì un ministero autonomo dedicato all’ambiente“.
Oggi, mezzo secolo dopo, dal Collegio Romano – sede del ministero – sono passati 27 successori di Spadolini: alcuni hanno lasciato tracce indelebili del loro operato, altri si ricordano solo grazie al contributo di Wikipedia. Gli ultimi mesi, poi, tra Gennaro Sangiuliano e Alessandro Giuli, il ministero è rimasto a lungo sotto i riflettori dei media e non per dispute sulla gestione dei beni culturali. Molti dei ministri che si sono succeduti hanno cercato di riformare il ministero, con alterne fortune a dire il vero, perché sempre più spesso ogni riforma appare più come il tentativo di eternare il proprio operato piuttosto che di correggere le regole del suo funzionamento, col chiaro intento (almeno nell’ultimo decennio) di trasformare i centri di costo del ministero – soprattutto quelli dove si staccano biglietti, come musei e parchi archeologici – in vere e proprie aziende. D’altronde quel che diffonde il ministero della Cultura nel tardo pomeriggio di ogni prima domenica del mese altro non è che la hit parade dei musei e archeoparchi più di tendenza. A quando il Grammy della Cultura?