L’Odin Teatret non è la sola compagnia di importanza internazionale a compiere quest’anno sessant’anni (ne abbiamo parlato). Lo stesso compleanno lo festeggia pure il Théâtre du Soleil, nato a Parigi anch’esso nel 1964 e diventato nel giro di poco tempo una delle compagnie più note e celebrate al mondo. Alla sua guida vi è dall’inizio una straordinaria artista, Ariane Mnouchkine (in foto), una delle rare eccezioni di leadership femminile in un mondo, quello del nuovo teatro, di impronta decisamente maschile e talvolta anche maschilista.
Mnouchkine aveva creato nel 1961 un associazione teatrale studentesca, con la quale mise in scena il primo spettacolo, Gengis Khan. In quegli anni segue anche i corsi di Jacques Lecoq, grande insegnante di mimo e movimento, e viaggia in America Latina, India e Giappone. Due esperienze che avranno grande influenza sul suo lavoro successivo, caratterizzato dalla centralità dell’attore e dalla fascinazione per i teatri asiatici.
E’ con questo collettivo di studenti che fonda il Théâtre du Soleil, il quale nel 1970 si sposta in quella che costituisce ancora oggi la sua sede: la Cartoucherie, una vecchia fabbrica di munizioni, situata a Vincennes, alla periferia di Parigi.
La guida femminile non è l’unica singolarità di questa compagnia. Un’altra risiede nel fatto che il Soleil è un teatro d’ensemble, cioè “una collettività che non ha le dimensioni della famiglia teatrale proprie dei teatri di gruppo e del terzo teatro, ma quelle dei grandi ensemble europei del secondo Novecento, dal Berliner Ensemble di Bertolt Brecht alla Schaubühne di Peter Stein”. Sono parole di Silvia Bottiroli e Roberta Galdolfi nell’Introduzione al libro che, a dodici anni dalla sua uscita, resta il contributo italiano più importante su Mnouchkine & Co. (Un teatro attraversato dal mondo. Il Théâtre du Soleil oggi, Titivillus).
Il Soleil è sempre stato un ensemble anche nel senso di una gestione collettiva in cui le decisioni più importanti vengono prese in assemblea e tutti, dalla regista all’ultimo dei collaboratori, sono retribuiti allo stesso modo.
Una terza caratteristica è il costante impegno civico-politico, portato avanti con gli spettacoli e la gestione del teatro, innanzitutto, ma anche con scelte extrateatrali di adesione a battaglie umanitarie progressiste, a volte riguardanti la sola Mnouchkine.
Dopo il primo successo, conseguito con La cucina di A. Wesker (1967), è negli anni intorno al ’68, e nel suo clima, che avviene la consacrazione internazionale, all’insegna di un festoso teatro di creazione collettiva che, per prendere posizione sull’oggi, si abbevera alle fonti occidentali di un teatro d’attore e popolare: in primis la Commedia dell’Arte e i “generi” che ne sono discesi in qualche modo, come la clownerie e la pantomima.
Si va da I clowns (1969) a L’âge d’or (1975), che ha per protagonista un Arlecchino algerino, Abdullah, un immigrato con la sua dolorosa storia, al film Molière (1978); passando per i due spettacoli dedicati alla Rivoluzione francese, dei quali il primo fu sicuramente quello più riuscito (1789, la révolution doit s’arrêter à la perfection du bonheur, 1970).
Gli anni Ottanta sono caratterizzati dell’incontro con i teatri classici asiatici, giapponese e indiano in particolare. Da due Shakespeare in chiave “orientale” (Riccardo II e La notte dei re, 1981-82) a Gli Atridi (1990), una magistrale rilettura di Orestea e Ifigenia in Aulide, ritualizzata con l’aiuto del Kathakali.
Intanto è iniziata la lunga collaborazione con la scrittrice Hélène Cixous, che con le sue drammaturgie imprime un carattere più autoriale ad alcuni lavori, dove il Soleil cerca di affrontare i problemi della condizione postcoloniale in Indocina (dallo spettacolo dedicato al re di Cambogia Sihanouk, 1985, a L’indiade, 1987, e a Et soudain une nuit d’éveil, 1997, sullo “scandalo Tibet”), per poi proporre una sorta di parabola cinese al modo di Brecht (Tambours sur la digue, 1999).
I venticinque anni successivi sono all’insegna del prevalente ritorno alla creazione collettiva (con la collaborazione, a volte, di Cixous), in una continua, tipica oscillazione fra il presente (come ne Le dernier caravansérail, 2003, sul dramma dei migranti ammassati nel nord della Francia) e viaggi nel passato prossimo (la Belle Epoque de Les naufragés du fol espoir, 2010) o nell’utopia, come nel recente L’Île d’or (2021), ispirato al Giappone.