“Nessuno Stato di diritto può tollerare una cosa del genere”. Ed evoca la possibilità che sussista un’idea eversiva di fronte alle diverse inchieste riguardanti i dossieraggi. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni commenta le indagini rivelate negli ultimi mesi sui furti di banche dati sensibili nell’ultimo libro di Bruno Vespa. Il riferimento non è ai recenti arresti chiesti e ottenuti dalla procura di Milano, ma ai precedenti accertamenti dei magistrati di Perugia e Bari. “Le inchieste dicono che il dossieraggio su di me è cominciato già alla fine del governo Draghi quando si capiva che sarei potuta andare al governo. Sulla vicenda dei dossieraggi mi aspetto che la magistratura vada fino in fondo, perché, nella migliore delle ipotesi, alla base di questo lavoro c’era un sistema di ricatto ed estorsione, ma nella peggiore siamo davanti al reato di eversione”, ha sostenuto Meloni nel colloquio con Vespa.
Sulla vicenda scoperchiata dagli uffici giudiziari milanesi si esprime invece mezzo governo. Per il ministro della Difesa Guido Crosetto “le dimensioni ormai raggiunte dai fenomeni che stanno emergendo, che per me non sono che la punta dell’iceberg di un malcostume diffusissimo, devono portare anche il Parlamento ad una riflessione su come vada affrontato, normato ed indagato questo tema, che può gravemente minare la convivenza democratica, influenzandone uno svolgimento corretto. In molti, troppi, ne hanno goduto, in questi anni”. Ed evidenzia che “la cosa più importante sarebbe sapere però se esiste un filo rosso che lega, magari nell’inconsapevolezza degli attori minori, tutte queste, e molte altre, raccolte informative, intrusioni illegittime, inseguimenti, pedinamenti, filmati, fotografie, registrazioni, non autorizzate e non giustificate da nulla di legale e a tutela dell’interesse pubblico”. Crosetto ricorda inoltre di essere stato lui a lanciare l’allarme dossier da cui è partita l’inchiesta di Perugia ed aggiunge: “l’abuso non è finito, come si dimostra con l’inchiesta milanese di oggi, ma continua imperterrito”.
Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani si tratta di una “storia inaccettabile” e il responsabile della Farnesina ne approfitta anche per rilanciare il tema delle intercettazioni: “Anche il loro uso è una vergogna finalizzata alla pubblicazione”. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio invece sostiene: “Non siamo al sicuro. Gli hacker sono più avanti”. Il Guardasigilli affida il suo pensiero al Corriere della Sera: “C’è un gap da colmare tra le capacità criminali, le nostre dotazioni tecnologiche e la normativa”.
Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha invece dato mandato al capo della Polizia, Vittorio Pisani, di acquisire dall’autorità giudiziaria gli atti di indagine utili per avviare verifiche “su ipotizzati accessi abusivi alle banche dati del ministero o sull’utilizzo illecito delle stesse”. Su questo fronte peraltro, viene aggiunto, “sta operando al Viminale una commissione di specialisti già in precedenza istituita dal ministro anche per definire eventuali ulteriori misure e procedure a protezione delle strutture informatiche interforze”. Una richiesta, questa, avanzata anche dalla Lega: “Alla luce degli scandali e delle inchieste, anche quelle più recenti, la Lega proporrà in Parlamento un incremento delle pene per i cosiddetti spioni”. L’obiettivo, sostiene il Carroccio, è “punire ancora più severamente chi vìola la privacy per ricattare e condizionare”.
Nell’inchiesta milanese, tuttavia, sono coinvolti anche persone di area di centrodestra, come Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera di Milano, indagato e al quale è riferibile una delle società utilizzata per i dossieraggi. Le sue dimissioni, avvisa il Pd, sono “inevitabili”. Pierfrancesco Majorino, capogruppo dem in Consiglio regionale della Lombardia e componente della segreteria nazionale, sottolinea come ciò che emerge dalle intercettazione è “assolutamente sufficiente, anche totalmente a prescindere dall’evolversi della vicenda giudiziaria, a rendere incompatibile la presenza di Pazzali ai vertici di un ente tanto rilevante”. Il fatto poi che “un uomo di punta della destra lombarda, perfino immaginato da più parti come un possibile candidato sindaco alle prossime elezioni comunali milanesi, sia finito in questa vicenda tanto torbida e inquietante non può essere minimizzato dallo stesso presidente Fontana”, aggiunge Majorino parla di “lotta nel fango nella destra” che “colpisce l’autorevolezza delle istituzioni”.