Il dolore e una rabbia contenuta, un serpentone di circa cinquemila persone, in particolare africani, chiamati a Verona dall’Alto Consiglio dei Maliani in Italia. Così è stato ricordato Moussa Diarra, il ventiseienne ucciso una settimana fa davanti alla stazione ferroviaria da un colpo di pistola sparato da un agente di polizia, contro il quale si stava scagliando armato di un coltello. La manifestazione è stata pacifica, anche se davanti al Tribunale qualcuno ha cercato di deviare il corso della marcia, ma è stato contenuto sia dalle forze dell’ordine che dagli stessi organizzatori, che avevano previsto un servizio d’ordine. Molte le invettive lanciate contro il ministro Matteo Salvini, che poche ore dopo la morte di Moussa, aveva detto: “Non ci mancherà”. La stessa frase, ma rovesciata nel senso (“Moussa, ci mancherai”) è diventata lo slogan del corteo.

Al mattino erano scesi in piazza, invece, un centinaio di leghisti, tra cui il segretario regionale Alberto Stefani, invocando interventi di sicurezza più severi contro lo spaccio, il degrado e la criminalità. Da Facebook, Salvini, non contento della prima provocazione, ha rincarato all’indirizzo dei migranti: “Tornate a casa vostra, non ci mancherete”. Evidentemente non ha raccolto l’invito del vescovo Domenico Pompili, che la sera precedente aveva trasferito alla Chiesa Votiva, nei pressi della stazione di Porta Nuova, un incontro già previsto con i giovani. Ne aveva approfittato per ricordare la storia di Moussa, partito dal Mali e approdato otto anni fa a Lampedusa: “Evitiamo giudizi frettolosi, di pancia” aveva avvertito, ricordando che il giovane aveva un lavoro, era ospitato in una casa occupata dal Laboratorio Sociale Paratodos ed era afflitto da problemi psicologici.

Proprio dagli attivisti di Paratodos (che sono alla ricerca di una nuova sede dove poter ospitare i migranti che non riescono a trovare una casa) è partito l’annuncio di una raccolta di fondi per sostenere una contro-inchiesta sulla morte di Moussa. La Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo nell’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa. L’autopsia ha già accertato che il giovane è stato raggiunto al petto da uno dei tre colpi sparati dall’agente. Seguiranno perizie balistiche per determinare le modalità della sparatoria e la distanza della vittima dal poliziotto. Inoltre saranno ricostruiti i movimenti di Moussa che era molto alterato e aveva danneggiato la biglietteria della stazione prima di essere colpito. I familiari e gli amici del giovane chiedono che l’inchiesta non trascuri alcun dettaglio, per questo si affideranno ad un legale.

“Al passaggio davanti al Tribunale – hanno scritto in un comunicato gli organizzatori della manifestazione dei malensi – i manifestanti hanno espresso in modo pacifico, ma deciso, il loro desiderio di un processo giusto. La legge deve valere per tutti, compreso Moussa e chi ha posto fine alla sua vita. La sicurezza in strada è spesso strumentalizzata politicamente e l’accanimento verso chi non ha soluzioni abitative fa parte delle discriminazioni quotidiane che molti affrontano. Il razzismo strutturale è alla base della morte di Moussa Diarra, costretto a vivere otto anni di sofferenza, precarietà abitativa e sfruttamento lavorativo. Chiedere giustizia per lui significa andare oltre l’accaduto in Stazione Porta Nuova e riconoscere un contesto discriminatorio che opprime le persone straniere attraverso pratiche illegittime e ostacolando l’accesso a diritti fondamentali”.

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