di Stella Saccà
Nella acclamatissima serie Netflix Nobody Wants This con Kristell Bell e Adam Brody, teenager crush di molti ai tempi di The OC, si parla di amore. Un amore sano, tra due adulti non più giovani ma ancora giovani: lei, Joanne, giovane podcaster di successo insieme a sua sorella Morgan (Justine Lupe), lui, Noah, un rabbino in carriera.
Con una sola battuta di quattro parole, Noah, il giovane interpretato da Brody, ha guarito tutte le ragazze che si sono sentite dire almeno una volta che erano “troppo” (attaccate, pesanti, ansiose, paranoie, distanti, gelose, ecc): I can handle you (io riesco a gestirti), dice a Joanne.
Serie banalissima, ma di controtendenza, perché racconta per una volta l’amore sano, quello in cui c’è comunicazione, gentilezza, dove il ghosting non esiste, un mondo quasi incantato al riparo dal dilagante narcisismo patologico e dalla indisponibilità emotiva.
Se nel primo episodio le sorelle incorrono in una serie di tattiche che si mostrano come una palese conseguenza di ferite emotive ancora aperte e dating compulsive, l’incontro con Noah, dall’approccio diretto, pulito, organico, ci mette un attimo a cancellare la tendenza al conteggio dei minuti che passano tra un messaggio inviato e uno ricevuto, e la paura di non essere trattate con rispetto e interesse. Non c’è bisogno di tattiche, quando c’è chiarezza. Se un sentimento è consegnato onestamente, le energie vengono investite in qualcosa di positivo, e non in lunghe telefonate bagnate di lacrime con una paziente migliore amica.
Un aspetto positivo secondario della serie è come racconta il giudaismo, co-protagonista indiscusso nella serie, e sotto i riflettori più del solito nella realtà di oggi: ci sono diversi momenti in cui si riferisce alla religione ebraica con autoironia e autocritica, che culminano con un momento emblematico in cui la mamma tutta d’un pezzo di Noah, Bina, interpretata da Tovah Feldshuh, recupera dall’immondizia un vassoio di prosciutto, tutt’altro che Kosher, e se lo mangia con gusto.
Gli episodi sono brevi, agghindati con la tipica comicità americana che a noi italiani al massimo stimola un sorriso pigro. Ma in fondo, quando si parla di relazioni moderne, c’è poco da ridere. La confusione regna sovrana: le app hanno portato più amore che delusione nella minoranza dei casi, la velocità con cui si fa swipe detta il ritmo dei vari primi appuntamenti ed è faticoso (non impossibile) uscire dalla bolla delle app di dating e crearsi una storia duratura nel mondo reale. Succede. Ma non quanto dovrebbe.
Il ghosting è purtroppo un nemico vero, reale, l’orbiting anche. Instagram e TikTok hanno segnato lo stile del relazionarsi negli ultimi anni, e la gen Z, ma anche i millennials, vengono bombardati da reels di giovani traumatizzati che gridano con tutto il fiato che hanno in corpo di smettere di cercare qualcuno che non ti risponde entro 4 ore. Potrebbe essere successo qualcosa che impedisca loro di rispondere come accade nella serie? No. Questi reels ti aggrediscono e ti minacciano di sparire, perché, dicono, non sei di loro interesse. In pratica invitando a praticare del ghosting per combattere il ghosting. Una sorta di “in amor vince chi fugge” sfuggito di mano. Non parliamo nemmeno di cosa pensano questi tiktoker dell’orbiting, l’abitudine cioè di non rispondere più e non contattare più, pur continuando a guardare le stories di Instagram della “vittima” in questione.
Ma sui social non ci sono solo i giovani arrabbiati, evidenti vittime essi stessi, che vogliono mettere in guardia gli altri, ma anche psicologi veri e meno veri che in trenta secondi ti dicono da dove deriva la tua tendenza a innamorarti sempre di soggetti emotivamente indisponibili. Non solo, con alcuni di essi puoi fare anche delle sedute on line, inclusi i non psicologi, i love coach, mental coach, life coach, le cui sedute costano anche più di quelle con uno psicologo certificato. E puoi anche pagare per leggere dei pdf contenenti i messaggi necessari per far capitolare l’amore della propria vita e tenerlo a te per sempre.
Se negli anni 90 le lezioni sentimentali oltreoceano si apprendevano con Sex And The City, Beverly Hills, o Dawson Creek, e negli anni 2000 con i suoi spin off, come il famoso La Verità È Che Non Gli Piaci Abbastanza, e in Italia con Gabriele Muccino, custode di verità e onestà assolute dei rapporti, e con il romanticismo sognante dei più giovani con Moccia, ora siamo imprigionati nei telefoni e nei loro contenuti asciutti, rapidi, aggressivi, impersonali. Che non cureranno mai i narcisisti patologici (l’algoritmo impedirà che tali contenuti lo raggiungano), ma creeranno nuova aridità e disillusione.
Quindi ben vengano serie come Nobody Wants This, nonostante i molteplici difetti e una narrazione occidentale che deve assolutamente espandersi e riclassificarsi, anche e soprattutto nel mondo dell’audiovisivo. E allora aggiusteremo forse sia la questione sentimentale che quella dell’inclusione.