Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, l’ex vicesindaco Luciana Colle, il vicesindaco attuale Michele Zuin, altri cinque assessori e un drappello di funzionari comunali, sono finiti nel mirino della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Veneto. La causa è costituita dalla vendita di Palazzo Poerio Papadopoli (non lontano da piazzale Roma) al magnate di Singapore Ching Chiat Kwong, avvenuta nel 2017 per un prezzo di 10,8 milioni di euro, ridotto di 3,2 milioni rispetto ai 14 milioni di una precedente valutazione confortata da un voto del consiglio comunale. Il prezzo, considerato di favore, rientrava nella complessa trattativa (poi non andata in porto) per l’acquisto dei terreni a Pili di proprietà del sindaco a Marghera, a cui Ching era interessato. Secondo la Procura della Repubblica di Venezia la vendita nascondeva una corruzione, contestata a Brugnaro, a mister Ching, all’assessore al patrimonio Renato Boraso (per aver intascato una parcella da 60 mila euro più Iva) e ad altri personaggi che ruotavano attorno al Comune.

È l’onda lunga, sul piano contabile, dell’inchiesta penale con la retata dello scorso luglio che ha portato in carcere Boraso, oltre ad alcuni imprenditori, e ha svelato la ragnatela di interessi del sindaco Brugnaro nella gestione del Comune. Il pubblico ministero contabile Francesca Cosentino ha notificato a 16 persone un atto di costituzione in mora al fine del risarcimento del danno erariale, patrimoniale e non patrimoniale, arrecato dalla cessione sotto-prezzo del palazzo. L’ipotesi è di una minusvalenza di 3,2 milioni di euro, oltre al danno d’immagine al Comune a seguito dell’inchiesta penale, che però dovrà arrivare a una sentenza prima di avere effetti su eventuali risarcimenti da parte dei pubblici ufficiali allo Stato.

Il comune di Venezia si è affrettato a emettere un comunicato in cui ostenta sicurezza: “L’atto di costituzione in mora si pone sostanzialmente quale atto dovuto conseguente all’indagine penale in corso, ai fini interruttivi della prescrizione dell’azione di responsabilità erariale, la quale sarà comunque ragionevolmente condizionata dagli esiti definitivi dell’eventuale giudizio penale ancorato al medesimo fatto”.

Basta leggere la contestazione per capire, però, come la vicenda non sia tranquillizzante per gli amministratori. Chiamati in causa sono innanzitutto il sindaco Luigi Brugnaro, poi il capo di gabinetto e il direttore generale del Comune, Morris Ceron e Derek Donadini, quindi l’assessore Renato Boraso (ancora detenuto per tangenti). L’elenco è completato dagli altri assessori che l’8 novembre 2017 firmarono la delibera di giunta che riduceva da 14 milioni a 10,8 milioni di euro il valore del palazzo. Si basava su una stima tecnica e aveva avuto il consenso del vicesindaco Luciana Colle, nonché degli assessori Massimiliano De Martin, Paolo Romor, Simone Venturini, Francesca Zaccariotto e Michele Zuin (attuale vicesindaco). Oltre a questi ci sono alcuni funzionari comunali: Raffaele Pace, Luca Barison, Andrea Reggio, Eliana Zuliani, Mario Carulli e Fabio Cacco. A salvarsi sono solo due assessori, che erano assenti: Giorgio D’Este e Paola Marra.

La Corte dei Conti ricostruisce l’inchiesta penale in corso e le denunce in sede politica. In particolare la tempestiva e illuminante diffida del “Gruppo 25 Aprile Venezia” di Marco Gasparinetti, che siede in consiglio comunale. La diffida era indirizzata a Brugnaro e al dirigente Barison del settore Beni demaniali e patrimoniali. Per conoscenza era stata interessata anche la Procura contabile. Per alcuni anni non è accaduto nulla, finché all’inizio del 2024, con le richieste di custodia cautelari poi sfociate nell’arresto di Boraso e nelle contestazioni a Brugnaro, è stato aperto un fascicolo contabile, assegnato alla guardia di Finanza.

Il sindaco ha difeso la bontà dell’affare, che secondo lui era servito per “far cassa”, vista la mancanza di liquidità del Comune. Dalle carte dell’indagine penale emerge invece un’altra verità, che ora la Procura contabile fa propria, ricordando i rapporti opachi con l’imprenditore asiatico, la gestione considerata “privatistica” dell’amministrazione pubblica, i sospetti di una scarsa autonomia del cosiddetto “Brugnaro blind trust”, istituito dal sindaco dopo l’elezione, a fine 2017, per rimuovere eventuali rischi di conflitto di interesse.

La procura della Corte dei Conti fa riferimento a un coinvolgimento diretto del sindaco Brugnaro e di altri soggetti pubblici tra cui Ceron e Donadini, oltre a Boraso, che all’epoca era assessore al patrimonio. Anzi i 60 mila euro di parcella, a cavallo della compravendita, vengono bollati come una “tangente” per aver favorito l’operazione commerciale. La Corte dei Conti descrive il clima di “corruzione ambientale” esistente all’interno degli uffici comunali, caratterizzato da omertà diffusa e dalla sottomissione agli interessi privati del sindaco soprattutto nei settori chiavi dell’urbanistica, dell’edilizia, delle gare di evidenza pubblica. Inoltre, “le finalità illecite perseguite dal sindaco e dei suoi collaboratori sono stati raggiunte anche grazie al contributo fattivo di alcuni dirigenti e funzionari del Comune che, senza opporsi alle pressioni esercitate dal primo cittadino e dai suoi collaboratori, hanno orientato l’azione amministrativa nella direzione da costoro voluta”.

L’addebito ai componenti della giunta del 2017 riguarda la delibera 261, adottata “senza avere adeguatamente ponderato, né motivato le ragioni della diminuzione di prezzo del palazzo” che soltanto un anno prima con la delibera 339 risultava valorizzato per una cifra ben più elevata”. La data di esordio della prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità erariale decorre dal 19 febbraio 2024, quando la Procura della Repubblica licenziò la richiesta di misure cautelari, poi sfociata negli arresti di luglio.

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